C’è ancora un futuro per il Todi Festival?

Riprendiamo da Città Viva un interessante articolo di Angelo Pianegiani

Triste il destino toccato in sorte negli ultimi anni al Todi Festival. Tanto osannato dagli attuali amministratori comunali quanto criticato dalle forze politiche di
opposizione (ma non solo da queste). Una polemica alimentata soprattutto dalla diffusa convinzione che la manifestazione non sia più in grado di stimolare
adeguatamente la crescita dei flussi turistici come nel passato, anche a causa di una perdita di spessore culturale che ha determinato una minore capacità di attrazione e di coinvolgimento nei confronti sia della cittadinanza sia dei visitatori provenienti da
altre località. In effetti c’è stato un tempo in cui questo evento aveva coagulato intorno a sé un consenso unanime: è stata quella l’età dell’oro del Festival. Ma come tutte le stagioni felici, che non durano per sempre, anche l’età dell’oro del Todi Festival è finita da tempo. Ciò che resta è un Festival zombi, passato dal
coinvolgimento al disinteresse dell’opinione pubblica, rattrappito su sé stesso, ormai
privo di fascino, cioè di quella componente che per un festival è tutto o quasi. Un
aspetto, quest’ultimo, efficacemente focalizzato dal direttore di questa rivista: “Che
cos’è un’aria da Festival? È quella che qualcuno citava, notandone l’assenza, in un
giorno qualunque della passata edizione: un’atmosfera continua, palpabile, che non
dovrebbe spuntar fuori nei piccoli affollamenti dell’ultim’ora davanti ai teatri, ma
avvertirsi più o meno sempre. Beh, è vero, non c’era. Ma perché, l’anno scorso
c’era? E gli anni passati? Meglio: l’ha mai avuta, quest’aria, il Todi Festival? Sì, un
tempo l’ha avuta, ma un tempo lontanissimo, alle origini» (Todi Festival 2023, pag.6-
8, CittàViva n.5/2023).
Il prossimo anno scade l’accordo fra il Comune e Gioform per l’organizzazione del
Todi Festival
Proporre oggi dubbi e perplessità non vuol dire che si voglia alimentare una pura e
semplice polemica. L’obiettivo, ben più importante, è quello di porre all’attenzione
della pubblica opinione il fatto che il prossimo anno rappresenta uno snodo
fondamentale per il futuro del Todi Festival. Infatti, con la delibera n° 20 del
27/01/2022 la Giunta comunale si è impegnata a confermare fino al 2024 la società di
Guarducci Gioform Srl come organizzatrice del Todi Festival, garantendone anche il
relativo sostegno economico. Ciò significa che alla fine dell’anno prossimo si dovrà
decidere il destino dell’evento che per un periodo lunghissimo (38 anni) ha
contrassegnato la vita culturale e la politica turistica della città. Si tratta di prendere
una decisione senza dubbio rilevante e delicata. Una decisione che, proprio per
questo, deve essere accompagnata da una riflessione, per quanto possibile
approfondita, che tenga conto dei vari fattori in gioco.

I costi del Todi Festival e il ruolo dei finanziamenti pubblici
Uno dei fattori da prendere in esame è quello del costo della manifestazione. A tal
fine è stata elaborata la Tabella n.1 (Costi del Todi Festival e importo dei contributi
pubblici) che riporta i dati economici relativi al periodo 2016-2022, cioè a partire dal
primo anno della gestione Guarducci, sulla base delle informazioni tratte dalle
delibere della Giunta comunale. Come è noto il Festival è organizzato da una società
privata, ma in larga parte finanziato dagli Enti pubblici, fra i quali svolge un ruolo
fondamentale il Comune che, di fatto, garantisce il pareggio economico della

manifestazione. Infatti, il contributo del Comune è erogato in due tranches: un
anticipo iniziale cui segue il saldo finale quantificato nella misura necessaria per
ottenere la copertura di tutte le spese (cosicché, di fatto, il rischio d’impresa ricade
sul Comune come pagatore di ultima istanza).

I dati riportati nella tabella possono essere così sintetizzati:

* nel settennio 2016-2022 le spese sostenute per l’organizzazione del Festival sono ammontate complessivamente a 1,711 milioni di euro;

* le spese sono state coperte per il 71% da contributi pubblici (prevalentemente comunali, in misura molto minore regionali e, marginalmente, da Etab);

* nel settennio i contributi erogati da Enti pubblici hanno raggiunto la somma di 1,221 milioni di euro (di cui ben 993 mila derivanti dal bilancio comunale);

* i ricavi da sponsor e da biglietteria riescono a coprire appena il 29% delle spese (quelli da biglietteria oscillano intorno ai 20/30 mila euro, tenuto conto anche della diffusa distribuzione di biglietti gratuiti);

* il costo medio di ciascuna edizione del Todi Festival è stato di circa 244 mila euro (un importo che sicuramente non consente di organizzare iniziative di livello adeguato!).

Gli oneri sostenuti dal Comune

In realtà i contributi economici versati dal Comune (come abbiamo visto, pari a 993 mila euro) non sono l’unico onere sostenuto dall’amministrazione locale a favore del Festival. Infatti, ad essi devono essere aggiunti i costi indiretti (da noi non quantificabili) “derivanti dall’impegno di collaborazione per la realizzazione dell’evento con la messa a disposizione degli spazi di proprietà dell’Ente stesso, secondo le effettive esigenze, con le attrezzature e supporti tecnici presenti negli stessi” (così come riportato nelle delibere di Giunta). Oltre a ciò, il Comune si è accollato ogni anno anche i costi connessi all’allestimento della mostra di arte contemporanea, con relativo catalogo, in cui vengono esposte le opere degli artisti che hanno realizzato il manifesto del Festival (allestimento affidato negli ultimi due anni alla Fondazione Pepper). Complessivamente i costi sostenuti direttamente dal Comune per le mostre ammontano a 200 mila euro, che aggiunti all’importo dei contributi determinano un onere totale a carico dell’Ente di 1,193 milioni.

Il ruolo della Fondazione Progetti Beverly Pepper

A questo punto è necessario chiarire il ruolo della Fondazione Pepper che, a partire dal 2021, ha assunto il ruolo ufficiale di partnership del Todi Festival, con il quale si è mossa in piena sinergia. La collaborazione della Fondazione è consistita nell’allestimento di una mostra alla Sala delle Pietre e nella esposizione delle sculture monumentali di Pomodoro (2021) e di Plessi (nel 2022), anche autori del manifesto del Festival. Due iniziative i cui costi a carico del Comune sono stati rispettivamente di 75 mila euro nel 2021 e di 70,5 mila euro nel 2022.

L’impatto del Todi Festival sulla città

Sin qui abbiamo parlato dei costi del Todi Festival. È quindi giunto il momento di analizzarne i benefici apportati. Ogni investimento ha un senso se ha una sua resa, cioè se produce gli effetti desiderati, altrimenti, in caso contrario, sono soldi gettati al vento. Ma quali sono gli effetti sperati di un evento culturale? In linea generale gli effetti positivi possono essere così classificati:

Effetti economici

Un evento non rappresenta solo un’occasione di spettacolo e di intrattenimento per il pubblico ma è anche uno strumento per generare ricadute economiche attraverso la spesa attivata dai visitatori e dallo staff organizzativo. Spese che non riguardano solamente i principali comparti della filiera turistica (ricettività, ristorazione) ma si ripercuotono anche su imprese di altri settori economici (enogastronomia, artigianato, espressioni artistiche locali, ecc.). è evidente che l’ammontare della spesa attivata è in funzione del numero dei visitatori. Purtroppo, il Todi Festival ultimamente non sembra attirare frotte di persone provenienti da altre località, se si esclude il caso dello spettacolo finale. Quindi si può presumere che gli effetti economici siano piuttosto modesti.    

Effetti sulla crescita dei flussi turistici

Un altro aspetto rilevante per valutare l’impatto di un evento riguarda la crescita dei flussi turistici che l’iniziativa è in grado di stimolare. L’aumento degli arrivi e delle presenze nelle strutture ricettive è strettamente legato alla capacità dell’evento di attrarre visitatori da fuori regione che soggiornano in loco e che magari approfittano della manifestazione per fermarsi qualche giorno per scoprire il territorio. Chi, negli ultimi anni, ha visto turisti di questo tipo durante il Festival è pregato di alzare la mano.

Effetto di immagine

Fra gli obiettivi di ogni avvenimento culturale c’è anche quello di favorire la visibilità del territorio su scala potenzialmente nazionale, aumentandone la notorietà e contribuendo positivamente alla sua immagine. Ma nel caso di un medio evento, come è il Todi Festival, la copertura mediatica è più ristretta, limitandosi quasi esclusivamente alla dimensione regionale e locale. Infatti, come è stato dimostrato in un precedente articolo (La monumentale rassegna stampa del Todi Festival 2019, pagine 8-9, CittàViva n.6/2019), le 900 pagine della rassegna stampa festivaliera erano caratterizzate dalla presenza preponderante dei siti web (che, peraltro, si sono limitati a rilanciare i comunicati ufficiali della manifestazione) con elevata frequenza di quelli umbri e da un’incidenza ridotta dei quotidiani, con netta prevalenza di quelli locali. Non a caso l’articolo citato si concludeva con queste parole: «Todi appare illuminata non dai riflettori dei grandi media nazionali ma dalla flebile luce di una moltitudine di candeline».

Quale futuro senza il Todi Festival?

Siamo quindi arrivati al quesito finale. Ha senso continuare con “questo” Todi Festival? Il gioco vale la candela? È ragionevole mettere in piedi la struttura di un festival (che comunque ha i suoi costi) il cui spettacolo clou è il concerto finale, cioè la presenza di un cantante scelto fra i tanti che in estate sono in giro per lo stivale e i cui manager aspettano solo di essere contattati per fissare un’ulteriore tappa del tour del loro artista? Ma di fronte al quesito scatta immediatamente la “sindrome dell’orror vacui”: se il Todi Festival non c’è più, che cosa facciamo?

In verità le opzioni possibili sono diverse:

 * è sempre possibile riesumare il vecchio brand del “settembre todino” (o qualcosa di simile) quale contenitore intorno al quale creare una specifica identità comunicativa, al cui interno programmare una pluralità di iniziative fra loro coordinate per coprire un arco di tempo che vada alla Festa della Consolazione alla Disfida di San Fortunato;  

 * il risparmio di risorse potrebbe consentire di finanziare interventi per restituire dignità e decoro alle tante vie cittadine attualmente abbandonate al loro riprovevole e inqualificabile squallore, nella convinzione che una città che “si presenta bene” agli occhi dei turisti è lo strumento più efficace per promuovere la propria immagine;

 * non ultimo, si creerebbero le condizioni finanziarie per incentivare lo sviluppo di attività economiche nel centro storico (e non solo).

Partito Democratico ” DOPO IL FALLIMENTO DI RUGGIANO UN NUOVO CAMPO PROGRESSISTA E CIVICO PER TODI”

I risultati delle elezioni amministrative del 3 e del 4 ottobre ci consegnano alcuni dati importanti, sia a livello nazionale che a livello regionale, che meritano un’analisi approfondita.

La netta affermazione del centrosinistra allargato nelle maggiori città italiane testimonia che siamo all’inizio di un percorso che può rivelarsi fruttuoso e vincente. Bando ai trionfalismi, ma non si può non evidenziare come l’idea di Enrico Letta di riorganizzare un nuovo campo, aperto e plurale, con il Partito Democratico come baricentro e con candidature forti ed autorevoli, sia stata premiata dagli elettori. Il Partito Democratico – vedasi, ad esempio, l’analisi dei flussi elettorali di YouTrend – è riuscito pure a rompere il confinamento nelle ZTL degli ultimi anni, recuperando consensi in “periferia” e riacquistando timidamente il radicamento sociale che spetta ad una forza progressista e di sinistra.

La strada da percorrere è ancora molto lunga, ma il fatto che la pandemia abbia stravolto schemi consolidati e che le forze conservatrici non siano in grado di dare risposte ai nuovi bisogni sorti dopo il rivolgimento che abbiamo vissuto nell’ultimo anno e mezzo è sotto gli occhi di tutti. Dall’emergenza pandemica, infatti, si esce da sinistra, cioè rinsaldando i legami di solidarietà, dando nuovamente centralità ai beni pubblici come la sanità e l’istruzione, difendendo il lavoro (nuovo sistema di ammortizzatori sociali, contrasto della precarietà ed investimenti sulla sicurezza nei posti di lavoro) e prendendo di petto la questione della transizione ecologica. Le parole d’ordine feroci della destra che spara a palle incatenate contro l’immigrato, il green-pass e la dittatura sanitaria, lisciando così il pelo ad una minoranza (per quanto rumorosa, fracassona e, purtroppo, violenta) dell’elettorato, sembrano davvero fuori tempo massimo.

Per venire al contesto umbro, non si può non intercettare il forte segnale di arretramento della destra che, speriamo, i ballottaggi certificheranno con ancora più forza. Il centrosinistra vince al primo turno ad Assisi con Stefania Proietti, è avanti a Spoleto con Andrea Sisti e si spartisce il secondo turno a Città di Castello. È uscito dall’isolamento degli ultimi anni e riesce ad essere fortemente competitivo con progetti di governo allargati al civismo seri e credibili Il campo progressista, col Pd come perno, è lo schieramento con la classe dirigente locale più preparata nel governare le città. È una classe dirigente politica autentica, riformista, competente, capace di unire e non inventata sui social.

Volgendo lo sguardo al 2022, anche a Todi va necessariamente messa in campo un’alternativa amministrativa retta da un nuovo campo che tenga insieme le forze progressiste di centrosinistra, il Movimento Cinque Stelle, il centro moderato ed il civismo. Non un’ammucchiata tanto per, ma un’alleanza progressista e civica che sappia far uscire Todi dall’isolamento in cui la destra l’ha fatta piombare negli ultimi anni, cementata da un progetto comune di lungo periodo per la nostra città e che torni ad occuparsi delle cose serie senza il paternalismo degli hashtag che abbia visto questi anni.

Todi ha bisogno di concretezza, di visione, di competenza, di legami (sia nazionali che europei) e, soprattutto, non di uomini soli al comando, ma di una squadra attrezzata e di una classe dirigente vera. Una classe dirigente prossima alle persone, che studi i dossier e sappia prendersi cura dei cittadini senza riempirli ogni tre per due della solita retorica edonistica ben rappresentata dallo slogan “la vita è bella”.

I risultati di un’amministrazione composta da persone ossessionate dall’effimero, dal superfluo e dai selfie mentre la realtà parla di una città in forte crisi sono tutto gli occhi di tutti. È ora di cambiare!

P.S. Prendiamo atto che anche CasaPound (perché Todi Tricolore, nonostante il lifting, sempre quello è) censura lo stile poco sobrio e basato sui selfie di alcuni componenti della giunta Ruggiano. Peccato essersene accorti solo ora per cercare di esercitare un’egemonia su alcuni frangenti della destra cittadina: noi lo diciamo da più di quattro anni!

LO STATO REGIONALE ITALIANO E L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA DELLE REGIONI

Dott. Alfonso Gentili

Con riferimento al rapporto tra territorio e governo nel diritto pubblico sono configurabili tre diverse forme di Stato i cui elementi costitutivi sono appunto il territorio, il popolo e il governo. Si tratta della forma di Stato unitario che, pur rispettando le autonomie locali, conserva una forte centralizzazione delle funzioni, della forma di Stato federale composto dalla riunione di più Stati e della forma di Stato regionale intermedia fra le due precedenti e che consiste in uno Stato unitario che amplia la sfera delle autonomie locali (Comuni e Province) con la creazione delle Regioni, titolari di una propria potestà legislativa autonoma da quella statale e dotate di una consistente autonomia finanziaria. Con il referendum istituzionale del 2 e 3 giugno ’46, dopo la caduta il 25 luglio ’43 della ventennale dittatura fascista di B. Mussolini, venne decisa dal corpo elettorale la forma di Governo dell’Italia, tra le due più diffuse nell’era moderna quali la Monarchia e la Repubblica, con la scelta della Repubblica. Nelle stesse due giornate ebbero luogo anche le prime elezioni a suffragio universale, cui poterono partecipare anche le donne, per l’elezione di un’Assemblea costituente di ben 556 componenti con il compito di redigere la nuova Carta costituzionale. Per espletare tale compito l’Assemblea opportunamente creò la “Commissione dei settantacinque” con i migliori nomi del diritto e della politica italiana del tempo e presieduta M. Ruini ex deputato antifascista e distinto giurista. L’Assemblea costituente è stata presieduta prima da G. Saragat e poi da U. Terracini con Presidente del Consiglio dei ministri De Gasperi II- Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): DC-PSIUP-PCI-PRI quale primo Governo repubblicano e De Gasperi III-CLN: DC-PCI-PSI-PRI fino al giugno ’47. Capo provvisorio dello Stato eletto dall’Assemblea costituente è stato negli anni ’46-’47 E. De Nicola che ha promulgato la Costituzione nel dicembre ’47 e dal 1°gennaio ’48 è diventato il primo Presidente della Repubblica. I Padri costituenti per la Repubblica italiana fecero appunto la scelta della forma di Stato regionale che nasceva da uno Stato unitario come il Regno d’Italia (1861-1946). Alla nuova Repubblica parlamentare, scelta sempre dai costituenti escludendo le altre due tipologie di Repubblica presidenziale o direttoriale, venne data una diversa fisionomia, proprio per superare i profondi inconvenienti di uno Stato accentrato come la vecchia Monarchia, con la creazione di 19 Regioni (art. 131 Cost. originario), poi divenute 20 con il Molise (art. 1 della l.c. n. 3/’63).

La Costituzione italiana, secondo il testo originario pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 298 del 27 dicembre ’47 ed entrata in vigore il 1° gennaio ’48, nella Parte II (Ordinamento della Repubblica), Titolo V (Le Regioni, le Province, i Comuni) all’art. 114 prevedeva pertanto che “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” e all’art. 115 stabiliva che “Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione”. Inoltre l’art. 116 prevedeva che “Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige (dal 2001 Trentino-Alto Adige/Sudtirol costituito dalle Province autonome di Trento e Bolzano), al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali”. Le leggi regionali emanate da tali Regioni autonome hanno pertanto una competenza esclusiva (che cioè esclude la legge statale) nelle materie tassativamente indicate dai loro Statuti speciali che prevalgono sulle stesse norme della Costituzione, salvo il rispetto dei principi fondamentali della stessa.

L’attuazione concreta della Costituzione repubblicana si è realizzata in un processo molto lungo che ha visto, dopo l’elezioni politiche dell’aprile ’48, una prima fase (’48-’55) in cui è rimasta largamente inattuata (Presidente della Repubblica L. Einaudi e Governi De Gasperi V-VIII, Pella, Fanfani I e Scelba di centrismo vario). Dopo il ’55 e durante i primi anni sessanta (Presidenti della Repubblica G. Gronchi e poi A. Segni) si è aperta una seconda fase che ha visto l’attivazione della Corte Costituzionale nell’aprile ’56, del CNEL nel gennaio ’57 e del CSM nel luglio ’59 (Governi Segni I e II di centrismo DC-PSDI-PRI e nel ’62-’63 Governo Fanfani IV di centrismo ma con l’astensione del PSI). In quegli anni infatti è stata avviata l’evoluzione del sistema politico italiano dal centrismo al centro-sinistra”organico” (DC-PSI-PSDI-PRI- Governi Moro I, II e III da fine ’63 al giugno ’68 e sono anche state emanate alcune leggi fondamentali come quella del dicembre ’62 sulla scuola dell’obbligo di almeno otto anni in attuazione dell’art. 34, comma secondo, Cost. e recante appunto l’istituzione della scuola media statale e quella sull’ammissione delle donne ai pubblici impieghi del febbraio ’63. Il processo di attuazione della Costituzione è arrivato alla fase più intensa nell’anno ’70 con l’istituzione delle Regioni a Statuto ordinario mediante la legge n. 281 del maggio ’70 (Presidente della Repubblica G. Saragat e Governo Rumor III di centro-sinistra”organico”) e con il regolamento d’attuazione approvato con DPR n. 8 del gennaio ’72 (Governo Colombo sempre di centro sinistra “organico”) per il trasferimento delle funzioni amministrative statali alle Regioni. Nello stesso anno ’70 hanno avuto luogo anche l’attivazione degli istituti di democrazia diretta mediante la legge n. 352 del maggio ’70 sui referendum previsti dalla Costituzione e sull’iniziativa legislativa del popolo nonché l’approvazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori di cui alla legge n. 300 del maggio ’70. Negli anni ’74-’76 (Governi Moro IV e V di centrismo con astensioni e appoggi esterni vari) il Presidente del Consiglio A. Moro si fece promotore anche di una strategia dell’attenzione verso il PCI attraverso il c.d. “compromesso storico”. Nel marzo ’78 venne però rapito dalle Brigate rosse e poi assassinato il 9 maggio (Governi Andreotti III e IV con l’astensione e l’appoggio esterno anche del PCI, guidato dall’allora segretario E. Berlinguer fautore del distacco dal PCUS, quali uniche partecipazioni al Governo, anche se indirette, di quel partito dall’entrata in vigore della Costituzione al suo scioglimento nel ’91).

Il percorso di attuazione della Costituzione repubblicana può essere quindi ritenuto concluso a metà degli anni settanta. Con l’avvio della VIII legislatura nel ’79 (Presidente della Repubblica S. Pertini e Governi Andreotti V e Cossiga I di centrismo) si è aperta una nuova fase non più per l’attuazione ma per la riforma del modello costituzionale considerato in alcune parti carente o superato a causa soprattutto dell’instabilità dei governi e dell’inefficienza dell’azione amministrativa. Nel corso degli anni ’80 e ’90 si è infatti assistito alla nascita di ben tre Commissioni parlamentari bicamerali per poter procedere ad una revisione organica dalla Carta costituzionale e vale a dire la Commissione Bozzi negli anni ’83-’85, la Commissione De Mita-Jotti negli anni ’92-’94 e infine la Commissione D’Alema negli anni ’97-98 senza però che nessuna di esse sia riuscita a portare a compimento il proprio progetto di riforma. Nel frattempo comunque a fine anni ’80 e inizio anni ’90 (X legislatura-Presidente della Repubblica Cossiga) sono state emanate alcune leggi ordinarie a notevole valenza costituzionale come quella sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 400 dell’agosto ’88 (Governo De Mita di pentapartito

DC-PSI-PSDI-PRI-PLI), quella sul riordinamento delle autonomie locali (Comuni e Province) n. 142 del giugno ’90 e quella sulla disciplina generale del procedimento amministrativo n. 241 dell’agosto ’90 (Governo Andreotti VI di pentapartito).

La svolta più importante verso la riforma costituzionale si è verificata dopo la vicenda di “tangentopoli” e l’inchiesta “mani pulite”, iniziata nel febbraio ’92 con l’arresto di M. Chiesa presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente di primo piano del PSI milanese (Governi Andreotti VII di quadripartito DC-PSI-PSDI-PLI), con la dissoluzione di alcuni importanti partiti storici e a seguito del referendum popolare dell’aprile ’93. L’esito di tale referendum ha portato al superamento del metodo elettorale proporzionale sul quale si era retto il sistema di alleanze e i Governi di coalizione della c.d. Prima Repubblica fino alla breve legislatura XI (Presidente della Repubblica O.L. Scalfaro, con Governo Amato I ’92-’93 di quadripartito e Governo Ciampi sostenuto dall’aprile ’93 al maggio ’94 da DC-PSI-PDS-PSDI-PRI-PLI-FdV). A favore del nuovo sistema elettorale parzialmente maggioritario si schierò la maggior parte dei partiti compreso il nuovo PDS, ex PCI sciolto nel febbraio ’91 con ultimo segretario dall’anno ’88 A. Occhetto, quale promotore della rottura finale con il comunismo dopo la caduta del muro di Berlino nell’anno ’89. Contro il sistema maggioritario si schierarono invece B. Craxi peraltro già dimessosi dalla segreteria del PSI, Rifondazione comunista, La Rete di L. Orlando e il MSI-DN del nuovo segretario G. Fini succeduto a G. Almirante dopo la sua morte nel maggio ’88. G. Fini è stato poi presidente del partito di AN di destra nazional-conservatrice fondato nel gennaio ’95 con la c.d. svolta di Fiuggi e lo scioglimento del MSI-DN. Dopo la riforma elettorale volta a dar seguito al referendum del ’93 e approvata con le leggi n. 276 e 277 dell’agosto ’93, c.d. legge Mattarella rimasta in vigore fino al ’05, ha preso avvio, a seguito delle elezioni politiche del marzo ’94, la nuova fase di riassetto del sistema politico con l’inizio della c.d. Seconda Repubblica (Governo Berlusconi I – Polo delle Libertà e del Buon Governo: FI-LN-MSI/AN- CCD-UdC peraltro di breve durata) nella direzione di un assetto bipolare delle forze in campo e di una maggiore personalizzazione dei poteri di direzione del Governo. Il nuovo assetto politico ha poi portato a riforme costituzionali incisive come quella del novembre ’99 n. 1, sull’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e sull’autonomia statutaria delle Regioni, del gennaio ’01 n. 2 sull’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale e soprattutto dell’ottobre ’01 n. 3 sul decentramento regionale e locale trasformando radicalmente anche l’assetto dei poteri locali.

Dopo le elezioni politiche dell’aprile ’96 che hanno visto la vittoria del centro-sinistra (L’Ulivo: PDS, poi dal 98 DS,-PPI -RI-UD-FdV-SI-SR-PS-FL-MCU e poi con qualche variazione) con i Governi Prodi I, D’Alema I e II e Amato II, nel marzo ’99 il Presidente del Consiglio dei Ministri (Governo D’Alema I) presentò al Parlamento, insieme al Ministro per le riforme istituzionali G. Amato, una nuova proposta di legge costituzionale formulata tenendo conto degli esiti dei lavori della Commissione Bicamerale D’Alema dei due anni precedenti e insieme ad essa la Camera esaminò altre 19 proposte di l.c. d’iniziativa parlamentare. Dopo l’esame nella 1^ Commissione concluso nel novembre ’99 la Camera dei Deputati arrivò all’approvazione della l.c. nel settembre ’00 (Presidente della Repubblica C.A.Ciampi e Governo Amato II ) e poi il Senato della Repubblica lo approvò nel novembre ’00. La proposta di l.c. tornò per la seconda lettura alla Camera che l’approvò a fine febbraio ’01 e, ritrasmessa al Senato, dopo un esame veloce in Commissione, fu

approvato definitivamente dall’Aula nel marzo ’01 (ancora Governo Amato II). Il testo di questa l.c. venne pubblicato sulla G.U. ai fini di cui all’art. 138, comma secondo, Cost. (referendum confermativo) e subito furono depositate nella cancelleria della Corte di Cassazione due richieste di referendum popolare sottoscritte la prima da 102 senatori dell’opposizione e la seconda da 77 senatori della maggioranza. L’Ufficio centrale per il referendum lo dichiarò ammissibile sempre nel marzo ’01 e il referendum popolare confermativo della l.c. venne indetto, dopo l’elezioni politiche del maggio ’01, con D.P.R. dell’agosto ’01 (Presidente della Repubblica C.A.Ciampi e Governo Berlusconi II- Casa delle Libertà- FI-AN-LN-UDC-NPSI-PRI) per il 7 ottobre ’01. Oltre il 64 per cento dei votanti si espresse a favore della l.c. anche se votò solo il 34,4% del corpo elettorale, ma per la validità dei referendum sulle leggi di revisione della Costituzione e sulle altre l. c. non è richiesto il quorum, invece prescritto dall’art. 75 Cost. per i referendum sulle leggi ordinarie.

La legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre ’01, recante modifiche al titolo V (Le Regioni, le Provincie, i Comuni) della parte II (Ordinamento della Repubblica) della Costituzione, ha introdotto molteplici innovazioni come la sostituzione dell’art. 114 che al comma primo ora recita: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” e quella dell’art. 116 che ora al comma terzo, sulla base del principio fondamentale del riconoscimento e promozione delle autonomie locali e del decentramento amministrativo di cui all’art. 5 Cost., si occupa anche del c.d. “livellamento” tra le preesistenti autonomie particolari delle 5 regioni a statuto speciale e le autonomie delle 15 regioni a statuto ordinario. A tal fine il nuovo terzo comma dell’art. 116 Cost. ha disciplinato la possibilità di attribuire, a determinati limiti e condizioni, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche alle Regioni a statuto ordinario ma con legge dello Stato (e non con legge costituzionale come per le 5 regioni a statuto speciale), su iniziativa della Regione interessata, dopo aver sentito gli enti locali e nel rispetto dei principi di cui al nuovo art. 119 Cost. in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali (il c.d. federalismo fiscale). Tali forme e condizioni particolari di autonomia per le 15 regioni a statuto ordinario devono riguardare le numerose materie indicate nel nuovo terzo comma dell’art. 117 Cost. di legislazione concorrente tra Stato e Regioni per la quale la potestà legislativa spetta alle Regioni mentre allo Stato spetta solo la determinazione dei principi fondamentali. Tale autonomia particolare può riguardare anche le materie indicate dal nuovo secondo comma dello stesso art. 117 di legislazione esclusiva dello Stato alla lett. l) limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace e alle lettere n) e s) e cioè le materie dell’istruzione e della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. La legge statale di attribuzione di tali forme e condizioni particolari di autonomia deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti e sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata. La riforma del titolo V ha voluto così introdurre una sorta di specializzazione delle Regioni a statuto ordinario a forme e condizioni particolari di autonomia attraverso una legge atipica del Parlamento approvata con procedura negoziata e rinforzata in quanto da adottare con procedimento aggravato essendo appunto prescritta per l’approvazione la maggioranza assoluta dei componenti delle Camere. Il nuovo art. 117 Cost. al comma quarto ha anche operato una inversione del criterio di riparto delle competenze statuendo che alle Regioni sono attribuite tutte le competenze legislative non esplicitamente riservate allo Stato, mentre nel testo originario erano le competenze regionali ad essere elencate specificamente e tutte le altre spettavano allo Stato centrale.

Parte seconda

Il procedimento previsto dal vigente art. 116, comma terzo, della Costituzione per l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario come introdotto dalla riforma costituzionale dell’ottobre ’01 non ha ancora trovato completa attuazione per nessuna Regione italiana. La stessa definizione di autonomia differenziata nel campo della potestà legislativa di cui al nuovo art. 117 Cost. appare anche inappropriata in quanto il principio di differenziazione è invece espressamente previsto nel nuovo art. 118, comma primo, Cost. insieme a quelli di sussidiarietà (verticale) e adeguatezza ma per l’attribuzione delle funzioni amministrative ai diversi livelli istituzionali e per poterne assicurare l’esercizio unitario. Nella XIV legislatura (’01-’06-Governi Berlusconi II e III- Casa delle Libertà: FI-AN-LN-UDC-NPSI-PRI) il tema della riforma costituzionale è stato impostato nell’ottica del centro-destra, vincitore delle elezioni del maggio ’01, sotto la spinta della Lega Nord di U. Bossi segretario fino al ’12 e poi Presidente a vita del partito. La Lega Nord allora spingeva per allargare le competenze regionali mediante la c.d. “devolution” ovvero la competenza esclusiva delle Regioni in materia di sanità, ordinamento scolastico e polizia locale nella prospettiva di un impianto di tipo federalista. La c.d.”grande riforma”costituzionale del centro-destra che prevedeva anche il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri verso il c.d. “premierato forte” è stata però sonoramente bocciata nel referendum confermativo (art. 138 Cost.) del giugno ’06 con una forte prevalenza dei “no” pari ad oltre il 61%. Nel frattempo era stato nuovamente riformato il sistema elettorale con la legge n. 270 del dicembre ’05 (c.d. legge Calderoli, definita anche “Porcellum”) che aveva introdotto un sistema proporzionale integrato con soglie di sbarramento e premi di maggioranza.

Con l’elezioni politiche del maggio ’06 la XV legislatura ha visto il ritorno della maggioranza di centro-sinistra ma solo per una durata biennale (Governo Prodi II- L’Unione- DS-DL la Margherita-PD- PRC-RnP-PdCI-IdV-FdV-UDEUR-ISI-DCU-LpA-AL-SD-LD-MRE). Hanno fatto seguito l’elezioni politiche anticipate dell’aprile ’08 che hanno visto una consistente superiorità numerica del centro-destra e, con l’inizio della XVI legislatura, anche l’affermazione della semplificazione del sistema politico verso un assetto bipolare. Tale assetto politico era incentrato da una parte sull’unificazione delle forze del centro-destra nel partito Il Popolo della Libertà (PdL) e dall’altra sull’avvenuta fusione tra i Democratici di Sinistra (DS dal ’98), la Margherita e altri minori nel Partito Democratico (PD) fondato nell’ottobre ’07 con Segretario nazionale W. Veltroni scelto mediante elezioni primarie e che alla prima tornata elettorale dell’aprile ’08 ha ottenuto oltre il 33% dei voti. Ma con la crisi economica nel mondo occidentale e anche nel nostro paese per l’elevato debito pubblico nel novembre ’11 il Governo Berlusconi IV di centro-destra (PdL-LN-MpA-CN-PT-FdS-DC) entrò in crisi e fu sostituito dal Governo Monti (Governo tecnico con l’appoggio esterno di PdL-PD-UDC-PSI-PRI-PLI- FLI e altri) fortemente voluto dal Presidente della Repubblica G. Napolitano. Il Governo Monti sul piano costituzionale è riuscito a far approvare la l.c. n. 1 dell’aprile ’12 recante tra l’altro la sostituzione dell’art. 81 Cost. sull’equilibrio di bilancio in attuazione dell’accordo intergovernativo in sede europea c.d. “Fiscal Compact” per correggere i disavanzi eccessivi della finanza pubblica. Quel Governo tecnico si è anche avventurato nel campo

istituzionale facendo rafforzare l’ipotesi di riforma del sistema bicamerale con la proposta di riduzione del numero dei parlamentari e anche di una riforma dell’ordinamento delle autonomie locali che prevedeva inopinatamente la soppressione delle Province. Tali storici enti locali avevano preso avvio, nella loro accezione moderna, su tutto il territorio nazionale come la principale suddivisione del Regno d’Italia proclamato con la legge n. 4761 del marzo 1861 (Governo Cavour III) a seguito dell’avvenuto raggiungimento dell’Unità d’Italia con l’annessione al Regno di Sardegna o sabaudo degli Stati preunitari durante tutto il Risorgimento. L’ordinamento delle Province italiane era stato infatti organicamente disciplinato dalla Legge comunale e provinciale contenuta nell’Allegato A della legge n. 2248 del 20 marzo 1865 recante l’unificazione amministrativa del Regno e che all’art. 1 disponeva “Il Regno si divide in provincie, circondari, mandamenti e comuni” e al titolo terzo conteneva la disciplina dell’amministrazione provinciale.

Con l’elezioni politiche del febbraio ’13 sono apparsi evidenti i limiti della legge elettorale n. 270 del dicembre ’05 che, nonostante il sistema maggioritario, non ha reso possibile una maggioranza omogenea nelle due Camere. La XVII legislatura è iniziata con il rinnovo, per la prima volta nella storia della Repubblica, del mandato al Presidente G. Napolitano il quale ha favorito la nascita di un Governo di “larghe intese” tra i partiti di centro destra e quelli di centro-sinistra (Governo Letta- di grande coalizione: PD-PdL/NCD-SC-UdC-PpL-RI) e ha riaperto il tema delle riforme costituzionali affidando ad una Commissione di esperti la stesura di una prima bozza di riforma. La bozza è stata poi approfondita in sede parlamentare nel giugno ’13 con l’approvazione di una mozione che invitava il nuovo Governo ad attivare un percorso per procedere ad una revisione del sistema bicamerale, della forma di Stato, della forma di Governo e della legge elettorale con una procedura speciale. Intanto con la legge di stabilità dell’anno ’14 (la n. 147 del dicembre ’13, art. 1, comma 571) il Parlamento ha anche approvato alcune disposizioni attuative relative alla fase iniziale del procedimento per il riconoscimento di maggiore autonomia alle Regioni a statuto ordinario. In particolare la norma ha previsto un termine di 60 giorni dal ricevimento entro il quale il Governo è tenuto ad attivarsi sulle iniziative delle Regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai sensi dell’art. 116, comma terzo, Cost. e ai fini dell’intesa tra la Regione interessata e lo Stato per arrivare alla legge rinforzata da approvarsi dalle Camere a maggioranza assoluta. Il Governo Letta ha anche presentato alle Camere un progetto di legge costituzionale per l’istituzione di un Comitato bicamerale di 42 membri che avrebbe dovuto redigere uno o più progetti da portare in Assemblea con un iter analogo a quello dell’art. 138 Cost. ma da sottoporre a referendum popolare anche se approvato in seconda lettura con la maggioranza dei due terzi. Tale proposta di l. c. è stata poi abbandonata con le dimissioni da Capo del Governo di Letta nel febbraio ’14 a seguito di un voto di sfiducia nei suoi confronti della Direzione nazionale del PD su una mozione del nuovo Segretario nazionale del partito M. Renzi eletto nelle primarie del dicembre ’13.

Il Governo Renzi (PD-NCD-UdC-SC-PSI-DEMOS-CD di centro-sinistra) tra le altre riforme ha anche operato sul piano istituzionale con la riforma elettorale per la sola Camera dei deputati di cui alla legge n. 52 del maggio ’15 (nota come “Italicum”) poi però dichiarata parzialmente illegittima in aspetti caratterizzanti, come il ricorso al ballottaggio, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 35 del febbraio ’17 e successivamente sostituita dalla legge n. 165 del novembre ‘ 17 (c.d. legge

Rosato e nota anche come “Rosatellum”). Il Governo Renzi ha anche costruito un vasto progetto di riforma della Parte II della Costituzione volta a superare il bicameralismo paritario con la trasformazione del Senato in un organo rappresentativo delle autonomie locali, a modificare il procedimento legislativo, a rivedere in senso più centralista l’ordinamento regionale del nuovo titolo V, nonché ad abolire le Province e il CNEL. Tale riforma, approvata in via definitiva dal Parlamento nella prima metà dell’anno ’16, è stata però seccamente bocciata a larga maggioranza (con circa il 60% dei no) nel referendum popolare del dicembre ’16 con le dichiarate e coerenti dimissioni del Governo. Il successivo Governo Gentiloni (PD-NCD/AP-CpE-Demo.S-CD-PSI di centro-sinistra e con appoggi esterni vari), con nuovo Presidente della Repubblica S. Mattarella già dal febbraio ’15, ha sviluppato e completato le altre riforme impostate dal Governo Renzi e ha portato il Paese alla scadenza naturale della legislatura nell’anno ’18. A fine febbraio ’18 (ancora Governo Gentiloni fino a tutto il maggio ’18) sono stati firmati tre distinti accordi preliminari, c.d. pre-intese, con le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che avevano avviato il percorso per il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’art. 116, terzo comma, Cost. e che individuavano i principi generali, la metodologia e un primo elenco di materie per la definizione della prescritta intesa fra Stato e Regione interessata.

Con l’inizio nel marzo ’18 della XVIII legislatura e dopo una travagliata formazione dell’Esecutivo (Governo Conte I- di coalizione M5S-LSP-MAIE e c.d.”giallo-verde”) le tre Regioni con le quali erano state stipulate le pre-intese hanno manifestato nel luglio ’18 al nuovo Governo l’intenzione di voler ampliare le materie da trasferire. Nel frattempo anche altre Regioni a statuto ordinario che non avevano firmato pre-intese hanno espresso al Governo la volontà di iniziare il percorso per ottenere ulteriori forme di autonomia. Si tratta delle Regioni Campania, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria (Presidente Giunta regionale Marini II-PD-PSI- con deliberazioni di Giunta n. 372 dell’aprile ’18 e di Assemblea legislativa n. 249 del giugno ’18) che hanno fatto pervenire al nuovo Governo le rispettive richieste di avvio dei negoziati. Sono anche state riprese le trattative tra le prime tre Regioni e i Ministeri interessati in base alle materie, coordinati dall’allora Ministro per gli affari regionali e le autonomie E. Stefani. Nella seduta del CdM del 14 febbraio ’19 la Ministra Stefani ha illustrato i contenuti delle intese con le tre Regioni e il Consiglio ne ha preso atto e condiviso lo spirito. Le bozze delle intese sono state anche pubblicate sul sito del Dipartimento affari regionali della Presidenza del Consiglio nel testo concordato tra il Governo e ciascuna Regione limitatamente alla parte generale comune alle tre intese.

Nel corso dell’anno ’19 si è aperto un grande dibattito sulle richieste pervenute e sul percorso per la definizione delle intese. Le questioni hanno riguardato le modalità di coinvolgimento degli enti locali, il ruolo del Parlamento e la non emendabilità in sede parlamentare del disegno di legge rinforzato che contiene le intese nonché la definizione dell’ampiezza delle materie da attribuire. Altro argomento di discussione è stato se, dal punto di vista finanziario, il trasferimento delle competenze alle Regioni dovesse avvenire previa definizione dei costi standard e, nelle materie dove siano previsti, dei Livelli essenziali di prestazioni (LEP) oppure, anche precedentemente alla loro definizione, sulla base della spesa storica come ipotizzata dagli accordi preliminari del febbraio ’18. In proposito la definizione dei LEP è stata poi inserita tra le riforme previste del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) con scadenza marzo ’26.

Durante il successivo Governo Conte II (di coalizione M5S-PD-LeU-IV-MAIE e c.d. “giallo-rosso”) è però prevalso l’orientamento a far precedere la stipula delle intese dall’emanazione di una “legge-quadro” (o meglio denominata “legge cornice”) che avesse definito le modalità d’attuazione dell’art. 116, comma terzo, Cost. anche se tale legge non risulta prevista dalla norma costituzionale. La legge-quadro, a partire dal Documento di Economia e Finanza (DEF) ’20, è stata inserita tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio. In particolare tali questioni sono state richiamate dalle audizioni svolte dal Ministro Boccia per gli Affari regionali e le autonomie presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale nel novembre ’19 e presso quella degli Affari regionali nel settembre ’20.

Analogo orientamento sulla c.d. legge-quadro è stato poi assunto e confermato anche dal Governo Draghi (di unità nazionale LSP-M5S-AZ-FI-PD-IpF-IV-Art.1-+Eu-NcL-CD) in carica dal febbraio ’21 e con Presidente della Repubblica S. Mattarella al secondo mandato dal febbraio ’22. La Ministra Gelmini per gli affari regionali e autonomie ha poi esplicitato tale orientamento nelle medesime Commissioni competenti. La stessa Ministra ha anche reso nota l’avvenuta istituzione con d.m. del giugno ’21 di un’apposita Commissione di studio, supporto e consulenza in materia di autonomia differenziata. Nel corso di un question time svolto in una seduta della Commissione a fine giugno ’22 è emerso che la Commissione aveva già fornito agli uffici del Ministero analisi e spunti utili per una prima definizione del testo del disegno di legge-quadro ma, alla fine anticipata della XVIII legislatura per le dimissioni reiterate nel luglio ’22 dal Presidente del Consiglio Draghi, comunque il disegno di legge-quadro non risultava essere stato presentato al Parlamento. In parallelo, per approfondire le questioni relative all’attuazione del regionalismo differenziato, la Commissione parlamentare per le questioni regionali nel triennio ’19-’21 aveva anche svolto un’indagine conoscitiva con l’audizione di rappresentanti del Governo, degli Enti territoriali nonché di studiosi ed esperti in materia e nel luglio ’22 aveva approvato un documento conclusivo. Con riferimento agli aspetti dell’autonomia finanziaria la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale risultava aver già svolto un ciclo di audizioni.

Il Governo Meloni (di destra-centro- FdI-LSP-FI-NM-IaC-RI) in carica dall’ottobre ’22, a seguito dell’elezioni politiche del settembre ’22 e dell’inizio della XIX legislatura, già nel marzo ’23 e probabilmente anche in virtù degli avanzati lavori preparatori dei precedenti Governi già in possesso degli uffici ministeriali è stato in grado di presentare al Senato della Repubblica il disegno di legge d’iniziativa governativa S. 615, collegato alla legge di bilancio per gli anni ’23-’25 e recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi del vigente terzo comma dell’art. 116 Cost. . Tale d.d.l. era appunto volto a definire i principi generali per l’attribuzione alle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché per le procedure di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione. Nelle materie di legislazione concorrente elencate nel nuovo art. 117, comma terzo, la Costituzione attribuisce la potestà legislativa alle Regioni a statuto ordinario o cc. dd. di diritto comune nell’ambito dei principi fondamentali riservati invece alla legislazione statale. Il nuovo comma terzo dell’art. 117 Cost. rispetto all’originario comma primo dello stesso art. 117, ha il significato di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare nelle materie indicate e la competenza statale limitata alla determinazione

dei soli principi fondamentali della disciplina che sono desumibili non necessariamente da nuove leggi statali ma anche dalle leggi statali vigenti. In tal senso era stato anche disposto dalla legge n. 131 del giugno ’03 (Governo Berlusconi II- Casa delle Libertà) recante norme per l’adeguamento dell’ordinamento delle Regioni alla l. c. n. 3/’01 e che all’art. 1, comma 3, aveva sancito che “Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti.”. La riforma costituzionale del 2001 si era mossa nella logica dell’art. 5 della Costituzione il quale, inserito tra i principi fondamentali della stessa, afferma che la Repubblica italiana riconosce e promuove le autonomie locali e nei servizi dipendenti dallo Stato è tenuta ad attuare il più ampio decentramento amministrativo nonché ad adeguare i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento, fermo restando il fatto che la stessa Repubblica è una e indivisibile.

L’iter parlamentare del d.d.l. governativo è iniziato con l’esame in sede referente della Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica e dopo la trattazione degli emendamenti presentati e l’approvazione di alcuni di essi si è passati all’esame dell’Assemblea del Senato che, a seguito dell’approvazione di ulteriori emendamenti, ha approvato in prima lettura l’intero d.d.l. nella seduta di fine gennaio ’24. L’iter parlamentare è continuato alla Camera dei Deputati con l’esame del d.d.l. in sede referente presso la Commissione Affari costituzionali che ha concluso i lavori nella seduta di fine aprile ’24 e ha conferito ai relatori il mandato a riferire favorevolmente all’Assemblea nel testo identico a quello del Senato. La Camera ha poi approvato il testo di legge in via definitiva nella seduta di metà giugno ’24. Nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 28 giugno ’24 è stata quindi pubblicata la legge ordinaria n. 86 del 26 giugno ’24 che, nei suoi 11 articoli, reca appunto le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’ articolo 116, terzo comma, della Costituzione.”.

Li 5 febbraio 2025

Dott. Alfonso Gentili, già Segretario Generale della Provincia di Perugi

La giunta di centro destra di Tesei e Coletto in 5 anni hanno distrutto la sanità regionale, in particolare i servizi ospedalieri.

Intervento di Andrea Vannini

Giova ricordare che per il ministero della salute il servizio sanitario regionale umbro era punto di riferimento nazionale per appropriatezza, sostenibilità, qualità dei servizi.

Oggi abbiamo lunghe liste  di attesa, emigrazione verso altre regioni, ospedali di prossimità abbandonati.

Difronte a questa realtà , la giunta tesei , consapevole forse del disastro compiuto e in ansia per le prossime elezioni regionali, cerca di correre ai ripari con provvedimenti spot, al di fuori di ogni programmazione, senza aver mai portato il piano sanitario in approvazione all’ assemblea legislativa.

Provvedimenti spot che riguardano l’ Ospedale di Assisi, quello di Città della Pieve per i quali oggi si dovrebbe  studiare la funzione, che riguardano il nuovo Ospedale di Terni, per il quale mancando i finanziamenti  si aspetta qualche mancia dal governo nazionale ,  riguardano anche gli Ospedali di Narni e Amelia da integrare ( come non si sa) con il presidio di Terni.
Atti spot elettorale anche per il nostro Ospedale di  Pantalla  per il quale non vi è nessun progetto di integrazione con l’ Ospedale di Perugia, non c’è neanche un atto che  autorizzi questa integrazione perché il relativo disegno di legge non è mai stato approvato dall’assemblea legislativa.

La domanda sorge spontanea:

1)Permettere due sedute a settimana a pantalla gli specialisti del Silvestrini di operare la cataratta a pantalla,(intervento sempre fatto e chiuso sotto la presidenza tesei! Tra l’altro) è integrazione?

2) La direzione della Usl 1 ha nominato un professionista per seguire l integrazione in rapporto con la Regione e l Università.
Ci domandiamo quale atto regionale giustificata la nomina, visto che il disegno di legge non è approvato?

2) Il professionista nominato ha esperienza ospedaliera, è esperto di organizzazione ospedaliera, che curriculum professionale ha?

3) In questo percorso che ruolo hanno gli operatori ospedalieri di Pantalla? Solo spettatori? Eil ruolo dei territori  e dei comuni quale sarà? Esclusi come fatto in questi 5 anni?

La salute dei cittadini è questione troppo seria per poter essere affrontata con spot elettorali dell’ ultimo momento.

Tutto ciò è offensivo per cittadini,malati, operatori sanitari.

Andrea Vannini – Membro Assemblea Nazionale PD

Grande successo dell’iniziativa che quest’anno celebra anche i 40 anni di nascita del Centro Speranza di Fratta Todina

In mille in cammino per la Speranza

Todi (Perugia), 30 settembre 2024 – Il sole e la tiepida atmosfera autunnale hanno fatto da cornice alla 33esima edizione della “Camminata della Speranza, per la cultura della disabilità” che si è tenuta domenica 29 settembre a Todi. Circa mille le persone che hanno partecipato all’iniziativa – ideata dal Centro Speranza di Fratta Todina per dare voce e risonanza ai diritti delle persone con disabilità, dei loro familiari e caregiver – che ha preso il via dal Tempio Santa Maria della Consolazione di Todi. Tra i presenti i Sindaci e gli assessori dei Comuni della zona sociale 4 (Collazzone, Deruta, Fratta Todina, Marsciano, Massa Martana, Monte Castello di Vibio, San Venanzo, Todi), dei Comuni di Terni e di Torgiano, il Garante per i diritti delle persone con disabilità della Regione Umbria e tanti amici, grandi e piccini, del Centro.

Circa 3 ore e mezza di camminata per percorrere 8,5 chilometri di percorso ed arrivare al Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza, dove sono seguiti la celebrazione della Santa Messa ed un ristoro offerto dall’amministrazione comunale di Todi.

“Ringrazio tutti i presenti – afferma Giuseppe Antonucci, presidente dell’Associazione Madre Speranza Odv che ha organizzato la manifestazione in collaborazione con il Comune di Todi – per la partecipazione alla nostra camminata di solidarietà, nata per difendere i diritti e i bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Una camminata di solidarietà e una camminata per costruire la pace perché siamo convinti che sia giusto lottare, combattere e affermare i diritti delle persone con disabilità affinché si possa difendere la pace. La camminata di quest’anno assume un valore speciale perché rientra nelle celebrazioni dei 40 anni dalla fondazione del Centro Speranza di Fratta Todina. Ci siamo incamminati verso Madre Speranza, a Collevalenza, per ringraziare perché ci ha protetto ed assistito in questi 40 anni di attività e ci ha fatto crescere in tutte le dimensioni, sia quelle professionali ma spero anche quelle con il cuore”.

“Siamo stati felici – ha rimarcato Madre Graziella Bazzo, direttrice generale del Centro Speranza di Fratta Todina – di poter camminare insieme al mondo istituzionale, politico, scolastico e civile per promuovere un unico valore che è quello della promozione della persona e per gli stessi valori nella vita. Questo è un dono grandissimo. E’ stata un’occasione bella per guardarci negli occhi e per offrire dei segni di speranza. Oggi abbiamo bisogno di tanta speranza, in particolare per le nostre famiglie e i nostri ragazzi”.

La manifestazione ha avuto il patrocinio della Giunta Regionale, dell’Assemblea legislativa, delle Province di Perugia e Terni, dei Comuni di Perugia e Terni, dei Comuni dell’Area Sociale numero 4 e del Comune di Torgiano, oltre che di numerosi altri enti ed associazioni.

I festeggiamenti per il quarantennale della fondazione del Centro Speranza di Fratta Todina proseguiranno anche nel mese di ottobre con altre iniziative a partire dal concerto di beneficenza di Tosca al Teatro Comunale di Todi, previsto per il 3 ottobre alle ore 21, alla giornata di studi del 19 ottobre, che si terrà presso il Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza.

L’incontro tra i Comitati per la difesa dell’Pspedale MVT e i Dirigenti sanitari.


Il Coordinamento dei Comitati per la Difesa dell’Ospedale della MVT, vista la Delibera della Giunta Regionale n. 858 del 6-9-24, hanno ritenuto indispensabile incontrare il 25 c.m. gli Amministratori Pubblici che qualche giorno fa hanno visto i Dirigenti Sanitari responsabili per il nostro Ospedale. Insieme agli Amministratori di Marsciano, Fratta Todina, Collazzone, Deruta, San Venanzo hanno inteso incontrare alcuni Operatori Sanitari, alcuni Tecnici del settore, il Sindacato della CGIL,  il Consigliere Regionale Michele Bettarelli  e quanti altri hanno ritenuto opportuno intervenire a fronte di questa che viene diffusa come una grande novità per la sanità territoriale della MVT. 

Ha introdotto i lavori uno dei Responsabili dei Comitati, Alvaro Grossi, che ha ricordato il lavoro svolto dai Comitati il quale, fino ad oggi, ha raccolto quasi 9000 firme depositate già quasi tutte in Regione, nonché ha ricordato le richieste che sono state allegate a quella raccolta firme. 

Dagli interventi dei convenuti si è sottolineato che il disegno di legge della Giunta Regionale, per quanto riguarda il nosocomio della MVT, non è altro che la copia di quanto riportato nelle richieste dei Comitati e fatte proprie dai  Consigli Comunali di Marsciano, Fratta Todina, San Venanzo, Montecastello di Vibio, Collazzone, Massa Martana, nonché della proposta firmata da tutti i Consiglieri Regionali di opposizione e presentata in Consiglio regionale.  

Ciò ha di fatto confermato la bontà della proposta, ma tutti gli interventi hanno sottolineato altresì che quanto riportato nella delibera di Giunta, manca del supporto economico fondamentale, nonché non viene nominata la classificazione richiesta dell’Ospedale in DEA1.  

Infatti quello che viene descritto è un fumosissimo documento dove si sottolinea ripetutamente che “ Le norme in esame essendo di carattere ordinamentale non configura impatti dal punto di vista del bilancio regionale.”  

Tutto questo non solo preoccupa i Comitati ma anche gli Amministratori locali che hanno a cuore questa struttura sanitaria fondamentale per tutto il territorio della MVT. Non è più accettabile che non ci siano chiaramente esposte le modalità di integrazione/ fusione con l’Azienda Sanitaria. 

Ad oggi non c’è nessuno che sappia dire tempi, modalità e rapporti fra l’Azienda e l’Ospedale MVT. Ci sono personaggi che vanno comunicando al personale che dovranno andare a firmare per aderire all’Azienda o alla USL, ma su cosa e come, nessuno lo sa! C’è qualcosa, ma non si sa che cosa possa essere o diventare. 

 Il tutto è molto votato a tranquillizzare pezzi di popolazione che ancora non hanno toccato con mano, per loro fortuna,  la situazione sanitaria e non hanno dovuto peregrinare per tutta la Regione per farsi curare.  

Per il resto fumogeni a coprire non si sa che cosa o chi! 

A fronte di tutto questo, da tutti gli interventi all’Assemblea è giunta una precisa indicazione per i Comitati: quella di continuare nell’operazione di informazione della popolazione, anche perché è ormai evidente il disegno di mischiare le carte per rendere l’operazione meno intellegibile possibile, quindi i Comitati continueranno a stare sul territorio per informare i cittadini. Per i Consiglieri di opposizione al Consiglio Regionale è arrivata una precisa indicazione: venga indicata una integrazione al testo del disegno di legge proposto dalla Giunta in cui si determini chiaramente che l’Ospedale MVT diventi a tutti gli effetti parte integrante dell’Azienda Sanitaria del perugino con la qualifica di DEA 1 e che la MVT abbia un suo Distretto Sanitario.  


Il Coordinamento dei Comitati per la Difesa dell’Ospedale della MVT, vista la Delibera della Giunta Regionale n. 858 del 6-9-24, hanno ritenuto indispensabile incontrare il 25 c.m. gli Amministratori Pubblici che qualche giorno fa hanno visto i Dirigenti Sanitari responsabili per il nostro Ospedale. Insieme agli Amministratori di Marsciano, Fratta Todina, Collazzone, Deruta, San Venanzo hanno inteso incontrare alcuni Operatori Sanitari, alcuni Tecnici del settore, il Sindacato della CGIL,  il Consigliere Regionale Michele Bettarelli  e quanti altri hanno ritenuto opportuno intervenire a fronte di questa che viene diffusa come una grande novità per la sanità territoriale della MVT. 

Ha introdotto i lavori uno dei Responsabili dei Comitati, Alvaro Grossi, che ha ricordato il lavoro svolto dai Comitati il quale, fino ad oggi, ha raccolto quasi 9000 firme depositate già quasi tutte in Regione, nonché ha ricordato le richieste che sono state allegate a quella raccolta firme. 

Dagli interventi dei convenuti si è sottolineato che il disegno di legge della Giunta Regionale, per quanto riguarda il nosocomio della MVT, non è altro che la copia di quanto riportato nelle richieste dei Comitati e fatte proprie dai  Consigli Comunali di Marsciano, Fratta Todina, San Venanzo, Montecastello di Vibio, Collazzone, Massa Martana, nonché della proposta firmata da tutti i Consiglieri Regionali di opposizione e presentata in Consiglio regionale.  

Ciò ha di fatto confermato la bontà della proposta, ma tutti gli interventi hanno sottolineato altresì che quanto riportato nella delibera di Giunta, manca del supporto economico fondamentale, nonché non viene nominata la classificazione richiesta dell’Ospedale in DEA1.  

Infatti quello che viene descritto è un fumosissimo documento dove si sottolinea ripetutamente che “ Le norme in esame essendo di carattere ordinamentale non configura impatti dal punto di vista del bilancio regionale.”  

Tutto questo non solo preoccupa i Comitati ma anche gli Amministratori locali che hanno a cuore questa struttura sanitaria fondamentale per tutto il territorio della MVT. Non è più accettabile che non ci siano chiaramente esposte le modalità di integrazione/ fusione con l’Azienda Sanitaria. 

Ad oggi non c’è nessuno che sappia dire tempi, modalità e rapporti fra l’Azienda e l’Ospedale MVT. Ci sono personaggi che vanno comunicando al personale che dovranno andare a firmare per aderire all’Azienda o alla USL, ma su cosa e come, nessuno lo sa! C’è qualcosa, ma non si sa che cosa possa essere o diventare. 

 Il tutto è molto votato a tranquillizzare pezzi di popolazione che ancora non hanno toccato con mano, per loro fortuna,  la situazione sanitaria e non hanno dovuto peregrinare per tutta la Regione per farsi curare.  

Per il resto fumogeni a coprire non si sa che cosa o chi! 

A fronte di tutto questo, da tutti gli interventi all’Assemblea è giunta una precisa indicazione per i Comitati: quella di continuare nell’operazione di informazione della popolazione, anche perché è ormai evidente il disegno di mischiare le carte per rendere l’operazione meno intellegibile possibile, quindi i Comitati continueranno a stare sul territorio per informare i cittadini. Per i Consiglieri di opposizione al Consiglio Regionale è arrivata una precisa indicazione: venga indicata una integrazione al testo del disegno di legge proposto dalla Giunta in cui si determini chiaramente che l’Ospedale MVT diventi a tutti gli effetti parte integrante dell’Azienda Sanitaria del perugino con la qualifica di DEA 1 e che la MVT abbia un suo Distretto Sanitario.  

La conclusione del Dirigente:


Il Coordinamento dei Comitati per la Difesa dell’Ospedale della MVT, vista la Delibera della Giunta Regionale n. 858 del 6-9-24, hanno ritenuto indispensabile incontrare il 25 c.m. gli Amministratori Pubblici che qualche giorno fa hanno visto i Dirigenti Sanitari responsabili per il nostro Ospedale. Insieme agli Amministratori di Marsciano, Fratta Todina, Collazzone, Deruta, San Venanzo hanno inteso incontrare alcuni Operatori Sanitari, alcuni Tecnici del settore, il Sindacato della CGIL,  il Consigliere Regionale Michele Bettarelli  e quanti altri hanno ritenuto opportuno intervenire a fronte di questa che viene diffusa come una grande novità per la sanità territoriale della MVT. 

Ha introdotto i lavori uno dei Responsabili dei Comitati, Alvaro Grossi, che ha ricordato il lavoro svolto dai Comitati il quale, fino ad oggi, ha raccolto quasi 9000 firme depositate già quasi tutte in Regione, nonché ha ricordato le richieste che sono state allegate a quella raccolta firme. 

Dagli interventi dei convenuti si è sottolineato che il disegno di legge della Giunta Regionale, per quanto riguarda il nosocomio della MVT, non è altro che la copia di quanto riportato nelle richieste dei Comitati e fatte proprie dai  Consigli Comunali di Marsciano, Fratta Todina, San Venanzo, Montecastello di Vibio, Collazzone, Massa Martana, nonché della proposta firmata da tutti i Consiglieri Regionali di opposizione e presentata in Consiglio regionale.  

Ciò ha di fatto confermato la bontà della proposta, ma tutti gli interventi hanno sottolineato altresì che quanto riportato nella delibera di Giunta, manca del supporto economico fondamentale, nonché non viene nominata la classificazione richiesta dell’Ospedale in DEA1.  

Infatti quello che viene descritto è un fumosissimo documento dove si sottolinea ripetutamente che “ Le norme in esame essendo di carattere ordinamentale non configura impatti dal punto di vista del bilancio regionale.”  

Tutto questo non solo preoccupa i Comitati ma anche gli Amministratori locali che hanno a cuore questa struttura sanitaria fondamentale per tutto il territorio della MVT. Non è più accettabile che non ci siano chiaramente esposte le modalità di integrazione/ fusione con l’Azienda Sanitaria. 

Ad oggi non c’è nessuno che sappia dire tempi, modalità e rapporti fra l’Azienda e l’Ospedale MVT. Ci sono personaggi che vanno comunicando al personale che dovranno andare a firmare per aderire all’Azienda o alla USL, ma su cosa e come, nessuno lo sa! C’è qualcosa, ma non si sa che cosa possa essere o diventare. 

 Il tutto è molto votato a tranquillizzare pezzi di popolazione che ancora non hanno toccato con mano, per loro fortuna,  la situazione sanitaria e non hanno dovuto peregrinare per tutta la Regione per farsi curare.  

Per il resto fumogeni a coprire non si sa che cosa o chi! 

A fronte di tutto questo, da tutti gli interventi all’Assemblea è giunta una precisa indicazione per i Comitati: quella di continuare nell’operazione di informazione della popolazione, anche perché è ormai evidente il disegno di mischiare le carte per rendere l’operazione meno intellegibile possibile, quindi i Comitati continueranno a stare sul territorio per informare i cittadini. Per i Consiglieri di opposizione al Consiglio Regionale è arrivata una precisa indicazione: venga indicata una integrazione al testo del disegno di legge proposto dalla Giunta in cui si determini chiaramente che l’Ospedale MVT diventi a tutti gli effetti parte integrante dell’Azienda Sanitaria del perugino con la qualifica di DEA 1 e che la MVT abbia un suo Distretto Sanitario.  


Il Coordinamento dei Comitati per la Difesa dell’Ospedale della MVT, vista la Delibera della Giunta Regionale n. 858 del 6-9-24, hanno ritenuto indispensabile incontrare il 25 c.m. gli Amministratori Pubblici che qualche giorno fa hanno visto i Dirigenti Sanitari responsabili per il nostro Ospedale. Insieme agli Amministratori di Marsciano, Fratta Todina, Collazzone, Deruta, San Venanzo hanno inteso incontrare alcuni Operatori Sanitari, alcuni Tecnici del settore, il Sindacato della CGIL,  il Consigliere Regionale Michele Bettarelli  e quanti altri hanno ritenuto opportuno intervenire a fronte di questa che viene diffusa come una grande novità per la sanità territoriale della MVT. 

Ha introdotto i lavori uno dei Responsabili dei Comitati, Alvaro Grossi, che ha ricordato il lavoro svolto dai Comitati il quale, fino ad oggi, ha raccolto quasi 9000 firme depositate già quasi tutte in Regione, nonché ha ricordato le richieste che sono state allegate a quella raccolta firme. 

Dagli interventi dei convenuti si è sottolineato che il disegno di legge della Giunta Regionale, per quanto riguarda il nosocomio della MVT, non è altro che la copia di quanto riportato nelle richieste dei Comitati e fatte proprie dai  Consigli Comunali di Marsciano, Fratta Todina, San Venanzo, Montecastello di Vibio, Collazzone, Massa Martana, nonché della proposta firmata da tutti i Consiglieri Regionali di opposizione e presentata in Consiglio regionale.  

Ciò ha di fatto confermato la bontà della proposta, ma tutti gli interventi hanno sottolineato altresì che quanto riportato nella delibera di Giunta, manca del supporto economico fondamentale, nonché non viene nominata la classificazione richiesta dell’Ospedale in DEA1.  

Infatti quello che viene descritto è un fumosissimo documento dove si sottolinea ripetutamente che “ Le norme in esame essendo di carattere ordinamentale non configura impatti dal punto di vista del bilancio regionale.”  

Tutto questo non solo preoccupa i Comitati ma anche gli Amministratori locali che hanno a cuore questa struttura sanitaria fondamentale per tutto il territorio della MVT. Non è più accettabile che non ci siano chiaramente esposte le modalità di integrazione/ fusione con l’Azienda Sanitaria. 

Ad oggi non c’è nessuno che sappia dire tempi, modalità e rapporti fra l’Azienda e l’Ospedale MVT. Ci sono personaggi che vanno comunicando al personale che dovranno andare a firmare per aderire all’Azienda o alla USL, ma su cosa e come, nessuno lo sa! C’è qualcosa, ma non si sa che cosa possa essere o diventare. 

 Il tutto è molto votato a tranquillizzare pezzi di popolazione che ancora non hanno toccato con mano, per loro fortuna,  la situazione sanitaria e non hanno dovuto peregrinare per tutta la Regione per farsi curare.  

Per il resto fumogeni a coprire non si sa che cosa o chi! 

A fronte di tutto questo, da tutti gli interventi all’Assemblea è giunta una precisa indicazione per i Comitati: quella di continuare nell’operazione di informazione della popolazione, anche perché è ormai evidente il disegno di mischiare le carte per rendere l’operazione meno intellegibile possibile, quindi i Comitati continueranno a stare sul territorio per informare i cittadini. Per i Consiglieri di opposizione al Consiglio Regionale è arrivata una precisa indicazione: venga indicata una integrazione al testo del disegno di legge proposto dalla Giunta in cui si determini chiaramente che l’Ospedale MVT diventi a tutti gli effetti parte integrante dell’Azienda Sanitaria del perugino con la qualifica di DEA 1 e che la MVT abbia un suo Distretto Sanitario.  


Il Coordinamento dei Comitati per la Difesa dell’Ospedale della MVT, vista la Delibera della Giunta Regionale n. 858 del 6-9-24, hanno ritenuto indispensabile incontrare il 25 c.m. gli Amministratori Pubblici che qualche giorno fa hanno visto i Dirigenti Sanitari responsabili per il nostro Ospedale. Insieme agli Amministratori di Marsciano, Fratta Todina, Collazzone, Deruta, San Venanzo hanno inteso incontrare alcuni Operatori Sanitari, alcuni Tecnici del settore, il Sindacato della CGIL,  il Consigliere Regionale Michele Bettarelli  e quanti altri hanno ritenuto opportuno intervenire a fronte di questa che viene diffusa come una grande novità per la sanità territoriale della MVT. 

Ha introdotto i lavori uno dei Responsabili dei Comitati, Alvaro Grossi, che ha ricordato il lavoro svolto dai Comitati il quale, fino ad oggi, ha raccolto quasi 9000 firme depositate già quasi tutte in Regione, nonché ha ricordato le richieste che sono state allegate a quella raccolta firme. 

Dagli interventi dei convenuti si è sottolineato che il disegno di legge della Giunta Regionale, per quanto riguarda il nosocomio della MVT, non è altro che la copia di quanto riportato nelle richieste dei Comitati e fatte proprie dai  Consigli Comunali di Marsciano, Fratta Todina, San Venanzo, Montecastello di Vibio, Collazzone, Massa Martana, nonché della proposta firmata da tutti i Consiglieri Regionali di opposizione e presentata in Consiglio regionale.  

Ciò ha di fatto confermato la bontà della proposta, ma tutti gli interventi hanno sottolineato altresì che quanto riportato nella delibera di Giunta, manca del supporto economico fondamentale, nonché non viene nominata la classificazione richiesta dell’Ospedale in DEA1.  

Infatti quello che viene descritto è un fumosissimo documento dove si sottolinea ripetutamente che “ Le norme in esame essendo di carattere ordinamentale non configura impatti dal punto di vista del bilancio regionale.”  

Tutto questo non solo preoccupa i Comitati ma anche gli Amministratori locali che hanno a cuore questa struttura sanitaria fondamentale per tutto il territorio della MVT. Non è più accettabile che non ci siano chiaramente esposte le modalità di integrazione/ fusione con l’Azienda Sanitaria. 

Ad oggi non c’è nessuno che sappia dire tempi, modalità e rapporti fra l’Azienda e l’Ospedale MVT. Ci sono personaggi che vanno comunicando al personale che dovranno andare a firmare per aderire all’Azienda o alla USL, ma su cosa e come, nessuno lo sa! C’è qualcosa, ma non si sa che cosa possa essere o diventare. 

 Il tutto è molto votato a tranquillizzare pezzi di popolazione che ancora non hanno toccato con mano, per loro fortuna,  la situazione sanitaria e non hanno dovuto peregrinare per tutta la Regione per farsi curare.  

Per il resto fumogeni a coprire non si sa che cosa o chi! 

A fronte di tutto questo, da tutti gli interventi all’Assemblea è giunta una precisa indicazione per i Comitati: quella di continuare nell’operazione di informazione della popolazione, anche perché è ormai evidente il disegno di mischiare le carte per rendere l’operazione meno intellegibile possibile, quindi i Comitati continueranno a stare sul territorio per informare i cittadini. Per i Consiglieri di opposizione al Consiglio Regionale è arrivata una precisa indicazione: venga indicata una integrazione al testo del disegno di legge proposto dalla Giunta in cui si determini chiaramente che l’Ospedale MVT diventi a tutti gli effetti parte integrante dell’Azienda Sanitaria del perugino con la qualifica di DEA 1 e che la MVT abbia un suo Distretto Sanitario.  


Il Coordinamento dei Comitati per la Difesa dell’Ospedale della MVT, vista la Delibera della Giunta Regionale n. 858 del 6-9-24, hanno ritenuto indispensabile incontrare il 25 c.m. gli Amministratori Pubblici che qualche giorno fa hanno visto i Dirigenti Sanitari responsabili per il nostro Ospedale. Insieme agli Amministratori di Marsciano, Fratta Todina, Collazzone, Deruta, San Venanzo hanno inteso incontrare alcuni Operatori Sanitari, alcuni Tecnici del settore, il Sindacato della CGIL,  il Consigliere Regionale Michele Bettarelli  e quanti altri hanno ritenuto opportuno intervenire a fronte di questa che viene diffusa come una grande novità per la sanità territoriale della MVT. 

Ha introdotto i lavori uno dei Responsabili dei Comitati, Alvaro Grossi, che ha ricordato il lavoro svolto dai Comitati il quale, fino ad oggi, ha raccolto quasi 9000 firme depositate già quasi tutte in Regione, nonché ha ricordato le richieste che sono state allegate a quella raccolta firme. 

Dagli interventi dei convenuti si è sottolineato che il disegno di legge della Giunta Regionale, per quanto riguarda il nosocomio della MVT, non è altro che la copia di quanto riportato nelle richieste dei Comitati e fatte proprie dai  Consigli Comunali di Marsciano, Fratta Todina, San Venanzo, Montecastello di Vibio, Collazzone, Massa Martana, nonché della proposta firmata da tutti i Consiglieri Regionali di opposizione e presentata in Consiglio regionale.  

Ciò ha di fatto confermato la bontà della proposta, ma tutti gli interventi hanno sottolineato altresì che quanto riportato nella delibera di Giunta, manca del supporto economico fondamentale, nonché non viene nominata la classificazione richiesta dell’Ospedale in DEA1.  

Infatti quello che viene descritto è un fumosissimo documento dove si sottolinea ripetutamente che “ 


Il Coordinamento dei Comitati per la Difesa dell’Ospedale della MVT, vista la Delibera della Giunta Regionale n. 858 del 6-9-24, hanno ritenuto indispensabile incontrare il 25 c.m. gli Amministratori Pubblici che qualche giorno fa hanno visto i Dirigenti Sanitari responsabili per il nostro Ospedale. Insieme agli Amministratori di Marsciano, Fratta Todina, Collazzone, Deruta, San Venanzo hanno inteso incontrare alcuni Operatori Sanitari, alcuni Tecnici del settore, il Sindacato della CGIL,  il Consigliere Regionale Michele Bettarelli  e quanti altri hanno ritenuto opportuno intervenire a fronte di questa che viene diffusa come una grande novità per la sanità territoriale della MVT. 

Ha introdotto i lavori uno dei Responsabili dei Comitati, Alvaro Grossi, che ha ricordato il lavoro svolto dai Comitati il quale, fino ad oggi, ha raccolto quasi 9000 firme depositate già quasi tutte in Regione, nonché ha ricordato le richieste che sono state allegate a quella raccolta firme. 

Dagli interventi dei convenuti si è sottolineato che il disegno di legge della Giunta Regionale, per quanto riguarda il nosocomio della MVT, non è altro che la copia di quanto riportato nelle richieste dei Comitati e fatte proprie dai  Consigli Comunali di Marsciano, Fratta Todina, San Venanzo, Montecastello di Vibio, Collazzone, Massa Martana, nonché della proposta firmata da tutti i Consiglieri Regionali di opposizione e presentata in Consiglio regionale.  

Ciò ha di fatto confermato la bontà della proposta, ma tutti gli interventi hanno sottolineato altresì che quanto riportato nella delibera di Giunta, manca del supporto economico fondamentale, nonché non viene nominata la classificazione richiesta dell’Ospedale in DEA1.  

Infatti quello che viene descritto è un fumosissimo documento dove si sottolinea ripetutamente che “ Le norme in esame essendo di carattere ordinamentale non configura impatti dal punto di vista del bilancio regionale.”  

Tutto questo non solo preoccupa i Comitati ma anche gli Amministratori locali che hanno a cuore questa struttura sanitaria fondamentale per tutto il territorio della MVT. Non è più accettabile che non ci siano chiaramente esposte le modalità di integrazione/ fusione con l’Azienda Sanitaria. 

Ad oggi non c’è nessuno che sappia dire tempi, modalità e rapporti fra l’Azienda e l’Ospedale MVT. Ci sono personaggi che vanno comunicando al personale che dovranno andare a firmare per aderire all’Azienda o alla USL, ma su cosa e come, nessuno lo sa! C’è qualcosa, ma non si sa che cosa possa essere o diventare. 

 Il tutto è molto votato a tranquillizzare pezzi di popolazione che ancora non hanno toccato con mano, per loro fortuna,  la situazione sanitaria e non hanno dovuto peregrinare per tutta la Regione per farsi curare.  

Per il resto fumogeni a coprire non si sa che cosa o chi! 

A fronte di tutto questo, da tutti gli interventi all’Assemblea è giunta una precisa indicazione per i Comitati: quella di continuare nell’operazione di informazione della popolazione, anche perché è ormai evidente il disegno di mischiare le carte per rendere l’operazione meno intellegibile possibile, quindi i Comitati continueranno a stare sul territorio per informare i cittadini. Per i Consiglieri di opposizione al Consiglio Regionale è arrivata una precisa indicazione: venga indicata una integrazione al testo del disegno di legge proposto dalla Giunta in cui si determini chiaramente che l’Ospedale MVT diventi a tutti gli effetti parte integrante dell’Azienda Sanitaria del perugino con la qualifica di DEA 1 e che la MVT abbia un suo Distretto Sanitario.  

Tutto questo non solo preoccupa i Comitati ma anche gli Amministratori locali che hanno a cuore questa struttura sanitaria fondamentale per tutto il territorio della MVT. Non è più accettabile che non ci siano chiaramente esposte le modalità di integrazione/ fusione con l’Azienda Sanitaria. 

Ad oggi non c’è nessuno che sappia dire tempi, modalità e rapporti fra l’Azienda e l’Ospedale MVT. Ci sono personaggi che vanno comunicando al personale che dovranno andare a firmare per aderire all’Azienda o alla USL, ma su cosa e come, nessuno lo sa! C’è qualcosa, ma non si sa che cosa possa essere o diventare. 

 Il tutto è molto votato a tranquillizzare pezzi di popolazione che ancora non hanno toccato con mano, per loro fortuna,  la situazione sanitaria e non hanno dovuto peregrinare per tutta la Regione per farsi curare.  

Per il resto fumogeni a coprire non si sa che cosa o chi! 

A fronte di tutto questo, da tutti gli interventi all’Assemblea è giunta una precisa indicazione per i Comitati: quella di continuare nell’operazione di informazione della popolazione, anche perché è ormai evidente il disegno di mischiare le carte per rendere l’operazione meno intellegibile possibile, quindi i Comitati continueranno a stare sul territorio per informare i cittadini. Per i Consiglieri di opposizione al Consiglio Regionale è arrivata una precisa indicazione: venga indicata una integrazione al testo del disegno di legge proposto dalla Giunta in cui si determini chiaramente che l’Ospedale MVT diventi a tutti gli effetti parte integrante dell’Azienda Sanitaria del perugino con la qualifica di DEA 1 e che la MVT abbia un suo Distretto Sanitario.  

LE MODIFICHE APPORTATE IN PRIMA LETTURA DAL SENATO AL  DISEGNO DI LEGGE PER L’INTRODUZIONE DELL’ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DEL GOVERNO.

Le osservazioni del dott. Alfonso Gentili

Il disegno di legge costituzionale recante ” Modifiche agli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione  per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri,  il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica“, d’iniziativa del Governo Meloni-I di destra-centro (FdI, LSP, F, NM (IaC-RI) e a firma di Meloni Giorgia (Presidente del CdM) e Alberti Casellati Maria Elisabetta (Ministra senza portafoglio per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa), era stato presentato al Senato della Repubblica il 15 novembre ’23 in un testo composto di 5 articoli. Tale atto d’iniziativa governativa aveva preso il n. S.935,era stato assegnato alla Commissione permanente (Affari Costituzionali) in sede referente il 21 novembre e aveva assorbito in Commissione l’altro d.d.l cost. n. S.830 recante “Disposizioni per l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri in Costituzione” d’iniziativa dei senatori Renzi ed altri già presentato  il 1° agosto ’23. Il d.d.l. governativo, con relatore il Sen. Alberto Balboni (FdI), era stato trattato in varie sedute della Commissione fino al 21 febbraio ’24 con alcune proposte di modifiche (n. 9) e di integrazioni (n. 3 nuovi articoli) del testo base.

Il d.d.l. costituzionale è stato poi trattato nell’aula di Palazzo Madama con relatore di maggioranza sempre il sen. Alberto Balboni (FdI), nominato il 24 aprile ’24 e che ha illustrato e proposto il testo  come modificato in Commissione. Il d.d.l. è stato infine approvato dal Senato della Repubblica il 18 giugno ’24, in sede di prima deliberazione (art. 138 Cost.), nel testo composto di n. 8 articoli limitandosi di fatto a recepire le modifiche e integrazioni approvate dalla competente Commissione. In pari data tale d.d.l. cost. è stato trasmesso dal Presidente del Senato alla Camera dei Deputati sempre per la prima deliberazione. Il 19 giugno lo stesso è stato assegnato, con il n. A.C. (Atto Camera) 1921 ein abbinamento con il d.d.l. C. 1354 d’iniziativa dei deputati Boschi e altri già presentato il 2 agosto ’23, alla I Commissione Affari costituzionali della Camera per l’esame in sede referente. L’esame è iniziato il 4 luglio scorso con relatore in Commissione l’On. Nazario Pagano (F.I.) e con le audizioni di professori di diritto costituzionale e pubblico fino al 6 agosto scorso. Lo stesso atto è stato anche assegnato al parere della Commissione II Giustizia.

Nell’Assemblea del Senato della Repubblica, come proposto dalla 1ª Commissione e poi approvato in aula per ogni articolo del d.d.l., è stato innanzitutto rettificato, il titolo del disegno di legge eliminando il riferimento ai singoli articoli della Costituzione da modificare e sostituendolo con la dizione “Modifiche alla parte seconda della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri,……..”.  

All’art. 1 è stata modificata la rubrica dello stessocon la seguente: “Abrogazione del secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione” in quanto l’articolo non si limita a modificare ma provvede ad abrogare integralmente la norma costituzionale che conferisce al Presidente della Repubblica, il quale rappresenta l’unità nazionale (art. 87 Cost.), il potere di nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario e peraltro stabilisce che il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque. Tale secondo comma era stato solo di recente così sostituito dall’art. 3 della l.c.n. 1 dell’ottobre ’20  in materia di riduzione del numero dei parlamentari (Governo Conte II– M5S, PD, LeU, IV, MAIE) da complessivi 945 a 600, di cui 200 componenti elettivi del Senato, oltre agli ex Presidenti della Repubblica come senatori a vita di diritto salvo rinuncia e ai fino a cinque senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica. L’abolizione dei cinque senatori a vita determina un notevole ridimensionamento del ruolo del Capo dello Stato. Con la norma transitoria di cui all’art. 8, comma 1, del d.d.l. i senatori a vita già nominati prima dell’entrata in vigore di questa nuova legge costituzionale resteranno comunque in carica.

Il Senato ha poi inserito un nuovo art. 2 recante in rubrica “Modifica all’articolo 83 della Costituzione, relativo alla procedura di elezione del Presidente della Repubblica da parte del Parlamento in seduta comune a scrutinio segreto e ampliato con la partecipazione di tre delegati per ogni Regione eletti in modo da assicurare la rappresentanza delle minoranze (tranne la Valle d’Aosta con uno solo e così per un totale di 58 delegati dei Consigli regionali) in gergo giornalistico chiamati”grandi elettori”. La modifica stabilisce che, per l’elezione del Capo dello Stato, la maggioranza di due terzi dell’Assemblea (in genere più ampia della maggioranza governativa) è necessaria non più fino al terzo ma fino al sesto scrutinio segreto, facendo così diventare sufficiente la maggioranza assoluta (metà più uno) dell’Assemblea dal settimo scrutinio in poi. Tale modifica sembrerebbe  voler valorizzare la figura del Presidente della Repubblica che, se eletto con la maggioranza di due terzi dell’Assemblea, apparirebbe di più il Presidente di tutti (come chiedevano i Padri costituenti) e non solo di chi lo elegge, come quasi sicuramente però continuerà ad avvenire dato che la seduta assembleare per l’elezione, presieduta dal Presidente della Camera, è unica con semplici interruzioni e quindi l’elezione a maggioranza assoluta di fatto resterà la regola solo con un piccolo ritardo di tempo. Gli unici casi di elezione entro i primi tre scrutini dei n. 12 Presidenti della Repubblica Italiana sono stati solo quelli di E. De Nicola (PLI) Capo provvisorio dello Stato dal luglio ’46 e Presidente della Repubblica dal gennaio ’48, dopo l’elezioni per l’Assemblea costituente e il referendum istituzionale del 2 giugno ’46, poi quelli di F. Cossiga  (DC) nel luglio ’85 e di C. Azeglio Ciampi (Indipendente) nel maggio ’99.       

Nel successivo art. 3 (ex art. 2 del d.d.l. governativo) recante in rubrica “Modifiche all’articolo 88 della Costituzionein particolare è stato aggiunto un ulteriore comma che modifica anche il secondo comma del citato articolo. La modifica consiste nel fatto che, fermo restando che la facoltà del Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere non può essere esercitata negli ultimi 6 mesi (c.d. “semestre bianco“) del suo mandato   (che si ricorda è settennale, art. 85 Cost.), l’eccezione non è  più quella  “salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultime sei mesi dellalegislatura” la quale, dopo la legge cost. n. 2 del 1963, dura 5 anni per entrambe la Camere (art. 60 Cost.) bensì quella nuova salvo che lo scioglimento costituisca atto dovuto.“. Pertanto anche durante il semestre bianco il Capo dello Stato sarà tenuto a sciogliere le Camere come “atto dovuto” nei casi previsti dal nuovo art. 94 Cost. di cui appresso.

E’ stato anche inserito un nuovo art. 4 recante in rubrica “Modifica all’articolo 89 della Costituzione“concui è stato sostituito il primo commadi tale articolo disponendo che, fermo restando che gli atti del Presidente della Repubblica sono controfirmati dai ministri proponenti i quali ne assumono la responsabilità, non devono più essere controfirmati (divenendo quindi di piena responsabilità Presidenziale) gli atti di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri (sic!), di nomina dei giudici della Corte costituzionale, di concessione della grazia e la commutazione delle pene, di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi e il rinvio delle leggi alle Camere. La nomina  del Presidente del Consiglio dei ministri da parte del Capo dello Stato è attualmente prevista nel vigente art. 92, secondo comma, Cost. che però viene interamente sostituito cancellando tale importante potere come di seguito illustrato. Ora la suddetta previsione di atti di nomina del Presidente del Consiglio appare come un pasticcio in contrasto con il sistema dell’elezione direttadel Presidente stesso. Con il nuovo art. 94 Cost., commi settimo e ottavo, infatti il Capo dello Stato può solo conferire l’incarico di formare il Governo ad un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio.

Nel successivo art. 5 (ex art. 3 del d.d.l. governativo) recante in rubrica  “Modifica dell’articolo 92 della Costituzione attualmente suddiviso in soli due commi, è stata disposta la sostituzione dell’intero articolo lasciando invariato solo il primo comma sulla composizione del Governo. L’attuale secondo comma dell’art. 92 vigente sin dall’approvazione della Costituzione della Repubblica Italiana, promulgata il 27 dicembre 1947 dal Capo provvisorio dello Stato Enrico de Nicola e controfirmata dal Presidente dell’Assemblea Costituente U. Terracini e dall’allora Presidente del Consiglio dei Ministri A. De Gasperi (Governo De Gasperi IV di Centrismo (DC-PSLI-PLI-PRI), prevede la nomina del Presidente del Consiglio dei ministri da parte del Presidente della Repubblica che, su proposta, dello stesso nomina anche i ministri. Il nuovo testo del secondo comma contiene la principale novità prevedendo l’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente del Consiglio per cinque anni, contestualmente alle elezioni del Parlamento e per non più di due legislature consecutive. Il limite dei due mandati viene però elevato a tre nel caso in cui nelle due legislature precedenti il Presidente del Consiglio abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi. Il marchingegno tradisce implicitamente il fatto che anche il Capo del Governo eletto direttamente corre il rischio di cadere anticipatamente, nonostante nel titolo del d.d.l. sia scritto di modifiche per” il rafforzamento della stabilità del Governo. Inoltre dodici anni e mezzo continuativi di guida del Governo di una Repubblica democratica (art. 1 Cost.) da parte di uno/a stesso/a Presidente del Consiglio appaiono non certo pochi, se non addirittura rischiosi. Neanche i sette Governi consecutivi De Gasperi II-VIII della nuova Repubblica italiana, proclamata il 2 giugno 1946, arrivarono a durare tanto. Il nuovo terzo comma di tale articolo interviene in materia elettorale stabilendo che la legge ordinaria,a modifica costituzionale approvata, dovrà disciplinare il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, ma aggiungendovi che la stessa dovrà assegnare un premio su base nazionale (il c.d. premio di maggioranza). Tale premio dovrebbe appunto garantire una maggioranza di seggi in ciascuna Camera alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività e di tutela delle minoranze linguistiche. Questo vincolo legislativo appare però impropriamente inserito in Costituzione essendo lamateria dei sistemi elettorali tipica della legge ordinaria e suscettibile di variazioni  anche frequenti proprio in relazione ai mutevoli assetti e schieramenti delle forze politiche. Nel nuovo quarto comma è anche specificato che il Presidente del Consiglio è eletto nella Camera ove ha presentato la candidatura e quindi è sempre un parlamentare, chiudendo così la porta alla soluzione  dei Capi di Governo tecnici che pure èrisultata valida e utile in varie circostanze.  Il nuovo quinto comma prevede che il Capo dello Stato conferisce al Presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo (una sorta di contentino formale dopo avergli tolto il potere di nomina ?) e che lo stesso Capo dello Stato, continua a nominare i ministri su proposta del Presidente del Consiglio con l’aggiunta che potrà anche revocarli ma sempre su proposta del Capo del Governo eletto.  

 E’ stato inoltre inserito un nuovo art. 6 recante in rubrica “Modifica all’articolo 57 della Costituzione sull’elezione del Senato a base regionale con l’aggiunta al primo comma delle parole ” e salvo il premio su base nazionale previsto dall’articolo 92.”. 

Nel successivo art. 7 (ex art. 4 del d.d.l. governativo) recante in rubrica Modifiche all’articolo 94 della Costituzione, attualmente suddiviso in cinque commi, è restata ferma la sostituzione del terzo comma riscritto dal d.d.l. governativo sulla necessità per il Governo di ottenere la fiducia del Parlamento entro dieci giorni dalla formazione e con l’aggiunta che ove non fosse approvata la mozione di fiducia è previsto l’obbligo di rinnovo dell’incarico di formare il Governo al Presidente eletto direttamente e solo in caso di ulteriore mancato ottenimento della fiducia è previsto lo scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica. Il nuovo sesto comma aggiunto dal d.d.l. governativo è stato invece completamente riscritto dalla 1ª Commissione e poi approvato in aula con ulteriori modifiche a partire dalla scissione in tre commi (per un totale di otto commi del nuovo art. 94 Cost.). Il nuovo sesto comma disciplina il caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, che porta alle dimissioni obbligatorie del Presidente del Consiglio e allo scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica. Il nuovo settimo comma nel primo periodoprevede invece che negli altri casi di dimissioni del Presidente del Consiglioeletto lo stesso,  entro sette giorni e previa informativa al Parlamento, può chiedere lo scioglimento delle Camere al Capo dello Stato, che lo dispone e cioè che deve disporlo (scioglimento come atto dovuto addiritturaanche nel c.d. “semestre bianco” di cui al citato nuovo secondo comma dell’art. 88 Cost.). Questo nuovo potere discrezionale del Capo del Governodi far sciogliere anticipatamente le Camere negli altri casi di sue dimissioni appare abnorme e volto ad eventualmente “domare” e comunque  sminuire ulteriormente il rango del massimo organo rappresentativodi una Repubblica democraticacome il Parlamento, checon questa norma potrebbe di fatto essere sciolto dal Capo del Governo. Il potere di scioglimento delle Camere è invece finora posto esclusivamente in capo al Presidente della Repubblica, quale organo garante della Costituzione ed anzi  si configura come uno dei due pilastri della Repubblica parlamentare insieme a quello del Governo nominato dal Capo dello Stato che deve godere della sua fiducia e di quella del Parlamento. Ma il nostro Paese con questa anomala e rischiosa riforma dell’elezione diretta  del Presidente del Consiglio dei ministri sarà ancora una Repubblica parlamentare o qualcos’altro ? Lo stesso settimo comma nel secondo periodoprevede invece che in caso di dimissioni del Capo del Governo senza sua richiesta di scioglimento delle Camere, il Presidente della Repubblica deve conferire, per una sola volta  durante la legislatura, l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario oppure ad un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente stesso. Il marchingegno appare come una vistosa deroga al principio dell’elezione diretta del Capo del Governo, che sembra volta più ad un puntellamento che al declamato rafforzamento della stabilità del Governo, anche se probabilmente è stata  gradita dai senatori che l’hanno votata e che così riuscirebbero a completare il loro mandato quinquennale. Infine il nuovo ottavo comma disciplina i casi di decadenza, impedimento permanente o morte del Presidente del Consiglio eletto, stabilendo che il Presidente della Repubblica, per una sola volta durante la legislatura, deve conferire l’incarico di formare il Governo a un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio, anche se in netta contraddizione con il principio dell’elezione diretta del Capo del Governo.

Infine nel nuovo art. 8 (ex art. 5 del d.d.l. governativo), recante norme transitorie e rimasto sostanzialmente invariato, al comma primo è previsto che i senatori a vita, già nominati ai sensi dell’art. 59 secondo comma Cost. nel testo previgente all’entrata in vigore di questa nuova legge  costituzionale, restano in carica. Al comma secondo è anche previsto che questa legge costituzionale si applicherà solo a decorrere dal primo scioglimento o dalla prima cessazione delle Camere successivi alla data di entrata in vigore della disciplina per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle due Camere (evidentemente da dettarsi con successiva legge ordinaria).

Li 6 settembre 2024

Dott. Alfonso Gentili, già Segretario Generale del Comune di Todi

L’AVVENUTO AVVIO DELLA PROCEDURA DI CONCESSIONE PER LA PROGETTAZIONE, REALIZZAZIONE E GESTIONE DELL’INCENERITORE IN ASSENZA DELLA LOCALIZZAZIONE NEL PIANO D’AMBITO DELL’AURI.

Del dott. Alfonso Gentili

In un precedente articolosu”LA NORMATIVA SULLA GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI IN UMBRIA E GLI INDIRIZZI REGIONALI  SU RECUPERO ENERGETICO E  SMALTIMENTO. Parte terza e ultima” del 5 febbraio 2024 erano state formulate alcune approfondite osservazioni sull’argomento, che per memoria si riportano a stralcio dopo i recenti sviluppi procedurali.

“Il Piano d’Ambito per il servizio di gestione integrata dei rifiuti (PAGIR)  e cioè della raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti,comprensivo del programma di interventi necessarie  del relativo piano finanziario,deve essere elaborato dall’Autorità d’Ambito sulla base dei criteri  definiti, per norma di legge, dal Piano regionale e degli eventuali indirizzi contenuti nello stesso.L’Autorità Umbra per Rifiuti e Idrico (AURI),con sedi oltre che a Perugia anche a Terni e Foligno,a quasi 7 anni dall’inizio della sua operatività e per varie circostanze, non è però ancora riuscita a dotarsi del fondamentale strumento di pianificazione che, una volta predisposto, deve essere adottato dal Consiglio direttivo (di soli 9 sindaci) e poi approvato dall’Assemblea dell’Autorità (di tutti i 92 Sindaci umbri)nel rispetto della disciplina generale di cui all’art. 203, comma 3, del d.lgs. 152/2006 e  s.m.i. e della disciplina regionale di dettaglio contenuta nelle due ll.rr. n. 11 del 2009 e n. 11 del 2013.”.

“Infatti l’art. 13 della l. r. 11/’09 come sostituito dall’art. 14 della l.r. 11/’13, al comma 3, prevede espressamente che costituiscono elementi essenziali del Piano d’Ambito per il servizio di gestione  dei rifiuti urbani, tra gli altri, “g) l’individuazione, nel rispetto del piano regionale, delle aree ove localizzare gli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti urbani...”.

“Tutto questo conferma che, essendo stata fatta nel 2013 dal legislatore umbro la scelta dell’Ambito territoriale ottimale unico costituito dall’intero territorio regionale e la creazione del nuovo ente pubblico AURI con la soppressione  dei quattro ATI umbri istituiti dalla l.r. 23/’07, oggi è esclusivamente in capo ad AURI il potere di scelta e la connessa responsabilità per l’individuazione, nel suo Piano d’Ambito da predisporre e adottare in Consiglio direttivo da ultimo entro la metà di maggio ’24 e poi approvare definitivamente in Assemblea entro la metà di novembre’24, dell‘area in cui localizzare il nuovo impianto di termovalorizzazione tra quelle potenzialmente idonee previste nella rappresentazione cartografica del Piano regionale e nel rispetto dei  criteri di scelta nello stesso specificati.”.

“Lo stesso Piano regionale, ai fini dell’applicazione dei criteri localizzativi, al capitolo 3. (Criteri per la localizzazione dei nuovi impianti), nel paragrafo 3.1. (Criteri generali) per i diversi raggruppamenti di tipologie impiantistiche e in particolare per il Gruppo B – Impianti di trattamento termico e più specificamente B1 – Impianti di termovalorizzazione rifiuti (incenerimento e coincenerimento (produzione di energia o di materiali che utilizza i rifiuti come combustibile normale o accessorio ), pirolisi, gassificazioni o simili)  e nelle annesse cartografie ha previsto, oltre le aree non idonee (aree rosse), le aree potenzialmente idonee (aree bianche)  all’installazione di ciascuna tipologia impiantistica. Il Piano ha precisato, peraltro, che tali aree bianche individuate nelle cartografie non costituiscono una scelta localizzativa diretta, che invece, per la norma di legge regionale, è demandata allo strumento del Piano d’Ambito di Auri.

“Nello stesso paragrafo è però anche previsto che l’impianto ” è localizzato, nel rispetto dei criteri di cui al presente piano, preferibilmente in aree già destinate ad uso industriale o ad attività produttive commerciali, da individuare in esito alla procedura di cui alla Parte II, titolo IV, del DL n. 36 del 31-3-2023″ (sic!). Quest’ultimo anomalo indirizzo contenuto in un provvedimento amministrativo dell’Assemblea regionale (Presidente Squarta) appare icto oculiviziato sotto il profilo della violazione di legge (regionale), la quale come sopra prescrive che l’individuazione dell’area di localizzazione dell’impianto di termovalorizzazione costituisce uno degli elementi essenziali del Piano d’Ambito per il servizio di gestione dei rifiuti approvato dall’Assemblea dell’Auri e non un”esito” di procedura contrattuale di concessione promossa da un soggetto diverso.”. 

“Ad avviso di chi scrive resta comunque fermo il vizio di legittimità degli atti amministrativi in questione sia del Consiglio regionale che di Auri per violazione di legge regionale.”.

Per quanto sopra evidenziato può essere intentata un’azione d’annullamento dell’avviso pubblico, palesemente illegittimo, diavvio della procedura (in finanza di progetto) di concessione della progettazione, realizzazione e gestione dell’impianto di trattamento e recupero energetico, previsto dal PRGIR della Regione Umbria ma non ancora localizzato nel PAGIR. L’avviso è stato pubblicato da AURI in data 19 luglio ’24,a firma del RUP, sul sito web dell’ente (e non all’Albo pretorio, dove ad oggi non risulta pubblicata neanche la relativa determinazione). L’azione d’annullamento dell’avviso pubblico può concretizzarsi con la presentazione di un ricorso giurisdizionale entro sessanta giornial Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) di cui alla legge n. 1034 del 1971 e al D. Lgs. n. 104 del 2010 di riordino del processo amministrativoo quanto meno di un ricorso straordinario dinatura amministrativa al Presidente della Repubblica di cui al vigente D.P.R. n. 1199 del 1971 (art. 8 e ss.) entro centoventi giorni. Il tutto fatto salvo l’eventuale annullamento d’ufficio in autotutela dell’atto dirigenziale invalido, magari su indirizzo del nuovo Consiglio direttivo  e del più rigoroso nuovo Presidente dell’AURI.  

P.S. Da notare che in data lunedì 22 luglio ’24 (solo tre giorni, di cui due non lavorativi, dopo l’avvenuta pubblicazione dell’avviso pubblico) si è riunita l’Assemblea dei Sindaci dell’AURI (già convocata con preavviso di 5 giorni lavorativi a norma di statuto) alle ore 9,30 presso la sede territoriale di Foligno e con deliberazione n. 9 ha proceduto ad eleggere il nuovo Presidente nella persona del dott. Andrea Sisti, Sindaco del Comune di Spoleto (che ha subito iniziato a presiedere l’Assemblea). Poi con deliberazione n. 10sono stati eletti i membri del nuovo Consiglio Direttivo costituito da 9 componenti -ivi compresi il Presidente e i Sindaci dei due comuni di maggiore dimensione demografica membri di diritto (Ferdinandi e Bandecchi)- e quindi gli altri 6 sindaci (Zuccarini, Secondi, Moretti, Lagetti, Malvetani e Tardani, poi eletta anche Vicepresidente).

 Ma le novità non finiscono qui, perché il giorno 2 agosto ’24 nel Supplemento n. 1 del B.U.R. è stata pubblicata la legge regionale n. 10 del 31 luglio ’24 recante ulteriori modificazioni e integrazioni alla l.r. n. 11 del maggio ’13  e approvata  dall’Assemblea legislativa con emendamenti nella seduta del 26 luglio’24. Tale legge in particolare all’art. 15 abroga il sopra evidenziato art. 14 della l.r. 11/2013 che sanciva come elementi essenziali del Piano d’Ambito, tra gli altri, “g) l’individuazione, nel rispetto del piano regionale, delle aree ove localizzare gli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti urbani...”. La nuova legge, tra le numerose modifiche e integrazioni della l.r. 11/2013, inserisce nella stessa anche un nuovo art. 13-bis (Piano d’ambito e disposizioni per il servizio di gestione integrata dei rifiuti) in cui tra gli elementi essenziali del Piano d’ambito inspiegabilmente non figura più quello fondamentale dell’individuazione delle aree ove localizzare gli impiantidi recupero e smaltimentodei rifiuti urbani ma solo quello di “c) la ricognizione degli impianti presenti sul territorio e la programmazione annuale dei flussi”.  A caldo si osserva che, anche in base alla più recente giurisprudenza del C.d.S., la scelta dell’edificazione in una specifica area (c.d. localizzazione) è sempre riservata alla mano pubblica negli strumenti di pianificazione. Atteso che l’Auri peròcon la nuova leggenon potrà più procedere alla localizzazione del termovalorizzatore né di altri impianti nel Piano d’Ambito la cui approvazione viene addirittura differita a fine anno ’27,appare quanto meno opportuno (data anche la tipologia e la consistenza dell’impianto) che alla localizzazione dello stesso provveda direttamente e responsabilmente il Consiglio regionale con un’integrazione del suo Piano (PRGIR) piuttosto che un soggetto “promotore” privato. Infatti con l’avviso pubblicato la scelta di localizzazione dell’opera puntuale di nuova costruzione (il termovalorizzatore) verrà effettuata nel DOCFAP (documento di fattibilità delle alternative progettuali) e sarà poi approvatadal committente (l’AURI) con una semplice determinazione dirigenziale.

Occorre infine osservare  che la l.r. 10/2024 però non è ancora entrata in vigore in quanto, per norma di legge statutaria n. 21/2005 (art 38, comma 1), la stessa “entra in vigore non prima di quindici giorni dalla sua pubblicazione” e quindi il 17 agosto’24, non essendo stato espressamente previsto un termine diverso. Pertanto l’Auri per pubblicare l’avviso pubblico avrebbe dovuto quanto meno attendere l’entrata in vigore della nuova legge regionale che abroga l’art. 14 della l.r. 11/2013 ma a decorrere dal 17 agosto p.v. . Il frettoloso avviso pubblico del RUP, nemmeno approvato con una determinazione dirigenziale pubblicata, resta pertanto invalido e da ritirare immediatamente, salvi restando gli sviluppi futuri di tutta la complessa vicenda.

Li 7 agosto 2024       

Dott. Alfonso Gentili, già Segretario Generale della Provincia di Perugia (2000-2009)

Il Cammino dei Presìdi Slow Food In bici sulla Strada del Sale da Cervia a Orvieto

Walter Nilo Ciucci con la sua bicicletta nel cammino dei Presidi Slow Food.


L’iniziativa, al via oggi 12 luglio, in occasione della riapertura delle Saline di Cervia dopo l’alluvione 2023, terminerà martedì 16 al Duomo di Orvieto

Scopri qui tutte le tappe del Cammino dei Presìdi, uno degli eventi in programma nel The Road to
Terra Madre
Circa 280 chilometri percorsi in bici nel segno della Chiocciola di Slow Food, lungo la strada del
sale che collega 12 Presìdi Slow Food, partendo dall’Emilia-Romagna per arrivare in Umbria. È
l’iniziativa che Walter Nilo Ciucci – portavoce Comunità Slow Food Travel Transameria e istruttoreguida di mountain bike, associato SIB (Scuola Italiana di Mtb), presidente dell’Associazione
Uncover Umbria – intraprenderà da venerdì 12 a lunedì 16 luglio da Cervia, con le sue saline dalle
origini antichissime, a Orvieto, città della Rupe dove, a partire dal XV secolo, veniva consegnato il
sale della salina Camillone destinato ai papi. Un percorso che attraversa l’antica Via Romea
Germanica, e una tradizione riscoperta e riproposta dal 2003: da allora ogni anno le due città e le
rispettive comunità si ‘incontrano’ su questo cammino, a Orvieto, 100 chilometri dalla Capitale,
all’insegna del convivio e della condivisione dei valori Slow Food.
“Da questo legame, che viene dalla storia, ma anche dalla riflessione sulla particolare condizione
ambientale che ci accomuna – da un lato le criticità geomorfologiche della rupe di tufo su cui
poggia Orvieto, dall’altro l’esposizione del parco delle saline, completamente sommerso
dall’alluvione nel 2023 – spiega Alessandra Cannistrà, presidente di Slow Food Orvieto, che
seguirà il primo tour dimostrativo – è nata una relazione nuova di amicizia, di solidarietà e di
condivisione basata sulla responsabilità verso l’ambiente e gli ecosistemi”. Un valore sancito
formalmente dal Patto di Amicizia stretto tra le due Comunità Slow Food impegnate nel
preservare, attraverso i rispettivi Presìdi Slow Food, la biodiversità e una visione originaria del
rapporto con la natura: la Comunità del Sale Dolce di Cervia – Riserva Camillone – e la Comunità
del Fagiolo Secondo del Piano di Orvieto.
“Da questa esperienza – aggiunge Cannistrà – è nata, all’interno della Condotta di Slow Food
Orvieto, l’idea di un Cammino dei Presídi per valorizzare i Presìdi Slow Food presenti lungo la
Strada del Sale, in un percorso nella biodiversità dei paesaggi agricoli e produttivi. Il Cammino dei
Presìdi inizia a Cervia, attraverserà il sud della Romagna, l’Appennino tosco-romagnolo, il
Casentino, l’Umbria del Trasimeno per arrivare a Orvieto”.
Questo cammino è destinato a pellegrini e viaggiatori che vogliono percorrere un tratto di storia
delle tradizioni e dell’agricoltura di resistenza, entrare in contatto con la varietà dei territori e
incontrare le comunità di produttori e artigiani che lì vivono ogni giorno. A sperimentarlo per la
prima volta sarà Walter Nilo Ciucci, aka Chiocciola in bicicletta, che, in sella alla sua bici, percorre
antichi tracciati in tutta Italia. “L’idea del Cammino dei Presìdi lungo la Strada del Sale prosegue
l’esperienza di Transameria, il percorso ad anello di circa 100 chilometri sul tratto umbro della Via
Amerina, da Todi ad Amelia, oggi diventato una delle 16 destinazioni del progetto Slow Food
Travel. Con lo stesso obiettivo di valorizzare il territorio e promuovere il turismo consapevole”.
ROAD MAP in dettaglio
12-16 LUGLIO 2024
Tracciando il cammino
12.07
1° tappa
Cervia – dal Museo del Sale alla Salina Camillone
Nel pomeriggio visita al Parco delle Saline e incontro con Giuseppe Pomicetti, Presidente Parco
Saline; Oscar Turroni e Franco di Ticco, Associazione Gruppo Civiltà Salinara.
Tramonto alle Saline.
Cena nel Parco delle Saline e pernottamento e pernottamento alla Locanda “Acervum”
13.07
2° tappa
Cervia – Galeata presso La Campanara osteria Slow Food con locanda
Ore 18.00 – incontro con Lia Cortesi, Slow Food Emilia-Romagna; Lamberto Albonetti, Slow Food
Forlì; i referenti e i produttori dei Presìdi Slow Food dell’Appennino forlivese.
Cena presso La Campanara e pernottamento.
14.07
3° tappa
Galeata – Bibbiena presso La Campana d’Oro birrificio artigianale Località Pianacci
Ore 18.00 – incontro con Mattia Renzetti, Slow Food Casentino e con i referenti e i produttori dei
Presìdi Slow Food del Casentino
Cena presso La Campana d’Oro e pernottamento.
15.07
4° tappa
Bibbiena – Castiglione del Lago presso il Castello Della Corgna.
Ore 18.30 – incontro con i referenti e i produttori dei Presidi Slow Food del Trasimeno: Nicola
Chiucchiurlotto per la Fagiolina; Ivo Bianconi ed Enea Belardinelli della Cooperativa Pescatori
“Stella del Lago”
Cena presso Agriturismo Poggio Santa Maria – Pernottamento agriturismo Poggio Bella Vista
16.07
5° tappa
Castiglione del Lago – Orvieto
Arrivo in piazza Duomo
Ore 18.30 – incontro con Costantino Pacioni e Carla Lodi, Presidio del Fagiolo Secondo del Piano,
Presidio Slow Food; Vittorio Tarparelli, portavoce della Comunità Lumachella Orvietana, progetto
di nuovo Presidio Slow Food.
Cena presso Antica Cantina Osteria Slow Food con Cecilia Stopponi.

COMUNALI 2024. MODESTA ANALISI DEL VOTO A MARSCIANO E PERUGIA – LE PROSPETTIVE PER LE ELEZIONI REGIONALI. TODI E LA MEDIA VALLE DEL TEVERE, TERRENO DI SCONTRO PER CHI, SOPRATTUTTO A DESTRA, SI SENTE SCAVALCATO DAI DIRIGENTI DI PARTITO. IN MEZZO CIVICI E RIFORMISTI, SEMPRE PIU’ AGO DELLA BILANCIA.

Comunicato di Fabio Catterini

E’ appena terminata la tornata elettorale delle comunali e già si scaldano i motori per le elezioni regionali. E allora via, a testa bassa fino a novembre (o forse dicembre); ma sarà una partita diversa.

Prima di reimmergerci nelle cose di “casa nostra”, ossia di Todi, vale la pena tirare le fila delle amministrative appena chiuse con un occhio alle prossime elezioni regionali, anche alla luce delle recenti dichiarazioni di alcuni personaggi politici locali, leggasi Sindaco di Todi, alla ricerca di un “posto al sole”, nonostante tutto e contro tutti.

Mi limito ai Comuni per i quali ho seguito la campagna elettorale, ossia Marsciano e Perugia.

 A Marsciano va apprezzata la coerenza di Moretti che ha superato le iniziali difficoltà di coalizione, dettate dai soliti noti.

Gli emuli del fù Bettino (Craxi) che pensavano di dare le carte con il presunto (o forse il paventato o millantato) 4% di preferenze, hanno solo complicato il lavoro di chi aveva un programma di governo; alla resa dei conti si sono trovati con un pugno di mosche in mano (come era prevedibile!).

E’ stata premiata la schiena dritta degli attori principali e la posizione di Moretti che è andato avanti, nonostante tutto.

L’avversario si è dimostrato quello che era, ossia un gigante con i piedi di argilla che al primo scossone è crollato miseramente (al primo turno!), complice, a mio modo di vedere, il “fuoco amico”.

Perché è crollato? Perché la destra marscianese, a trazione leghista, era stata eletta per sfondare tutto; un voto di protesta, di pancia, basato su poche idee e tanta retorica (rimarrà nella storia il comizio di Salvini a Marsciano nel 2019: “riapriremo gli Ospedali che il PD ha chiuso”)

Una coalizione di persone che, in massima parte, non aveva la minima idea di cosa andava a fare.

Leggasi, quanto a Marsciano, la gestione della Zona Sociale 4; zero bilanci, opacità e pressapochismo, mai un rendiconto delle risorse; ancora oggi non si sa quanti soldi ci sono in cassa, perché non sono stati spese e, soprattutto, chi ha deciso gli impegni, con buona pace dei cittadini.

Diceva Andreotti che in Italia esistono due tipi di matti, quelli si credono Napoleone e quelli che vogliono risanare le Ferrovie dello Stato.

A questi si sono aggiunti, recentemente, gli imbonitori, i cd. uomini del fare, che alla resa dei conti si sono dimostrati inconsistenti.

Comunque, il risultato non era scontato; anzi, se Moretti non avesse tirato dritto, probabilmente non ce l’avrebbe fatta.

Il “fuoco amico”: andare a Marciano per raccontare barzellette e denigrare i cittadini che si impegnano nei comitati di difesa dell’Ospedale della Media Valle del Tevere e stata una coltellata alla schiena.

Le risate della platea dei fedelissimi si sono trasformate in voti contro da parte dei cittadini, ossia delle persone normali.

Quelle risate hanno certificato la distanza siderale tra una giunta autoreferenziale e il sentimento delle persone.

Autore del misfatto, ancora una volta, il Sindaco di Todi; uno che sì, è vero, è abituato alla boutade, ma che normalmente sa fare di conto; quindi, è consapevole delle conseguenze delle sue azioni e, credetemi, non si fa troppi scrupoli. Che Dio ci protegga!

Quell’uscita, più che un endorsement per una alleata in piena campagna elettorale, è stata una cannonata ad “alzo zero” per spazzare via una possibile forza ostile sul territorio della Media Valle del Tevere, ossia la Lega marscianese e quel che resta di Forza Italia sulle sponde del Nestore.

La lezione è: dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Dio.

Perugia: risultato inaspettato, ma non tanto.

Perugia è una città particolare: è una prima donna, per tradizione, per livello culturale e per spirito.

Una città che non tollera sonnolenza ed immobilismo, che vuole sempre emergere, non per velleità, ma perché sa di averne le capacità; città aperta al mondo (l’Università per stranieri), tollerante e democratica (uno dei suoi figli più illustri è Aldo Capitini), aperta alle innovazioni (sia in campo industriale che urbanistico), spavalda e coraggiosa (ricordiamo i fatti del giugno 1859).

Insomma, una città tutt’altro che conservatrice.

Tutte aspirazioni tradite dalla seconda Giunta Romizi, che verrà probabilmente ricordata più per il bon ton del Sindaco che per le iniziative (al netto degli ultimi due mesi!).

Nell’aria si respirava da tempo una voglia di cambiamento. La pazienza era finita!

Romizi, da perugino doc, queste cose le sapeva benissimo; si è accorto che il “tocco magico” non c’era più; ce l’ha messa tutta (la faccia!), ma non è bastato. Non è bastato lui, il suo atteggiamento rassicurante, il suo equilibrio e la sua indubbia intelligenza politica.

Chi non lo aveva capito è Fratelli d’Italia, un partito caratterizzato da una dirigenza che in Umbria, da ultimo, si è distinta per arroganza e miopia, tanto da perdere tutti e due i capoluoghi di provincia: ha imposto il candidato a Terni ed ha perso; ha messo il proprio candidato a Perugia ed ha perso.

Ma allora la Ferdinandi? Vittoria incarna lo spirito dei tempi: personalità e chiarezza.

Non ha fatto una campagna elettorale sulla persona, ma sul pensiero e sull’atteggiamento, convogliando su questi binari tutta la coalizione: ha sostanzialmente cavalcato la polarizzazione del voto ed ha vinto.

Ha vinto perché l’Italia, tanto meno l’Umbria, non è di destra; è solo stanca e sfiduciata.

Ha vinto perché, come diceva Moretti (il regista), ha detto qualcosa di sinistra, cioè, ha parlato di eguaglianza, rispetto delle persone, economia e progresso sostenibile (prima di tutto sostenibilità sociale!); lo ha fatto con empatia, con gioia, senza far ricorso alle paure delle persone, alla demonizzazione di qualcuno e qualcosa. Inclusiva ma netta. Aperta ma chiara. È stato veramente bello.

Sono state determinanti le forze di centro, le liste civiche, che hanno funzionato perché hanno mandato un messaggio leggibile, hanno preso posizione.

Questa probabilmente è la lezione che si trae dagli esiti di questi due voti.

Sono determinanti le forze moderate, le liste civiche, ma non tutte, solo quelle che sanno trasmettere la loro identità e sono coerenti, riconoscibili.

A Marsciano le liste civiche che non si sono schierate hanno ottenuto un risultato modesto: non si capiva chi fossero e cosa volevano: il né a destra né a sinistra non funziona più.

A Perugia le liste civiche a sostegno della Ferdinandi, le forze di centro che hanno dichiarato il proprio campo di appartenenza, sono andate bene.

Male Monni, perché è rimasto nel mezzo, senza identità.

Malissimo Fora, che con un solo colpo ha stracciato la sua credibilità politica ed ha disintegrato Civici X. Peccato.

Ora ci avviamo alle elezioni regionali: i partiti avranno capito la lezione o insisteranno nel gioco delle nomine calate dall’alto?

Di certo, per tornare a Todi, la lezione l’ha capita bene Ruggiano ed ha iniziato a lavorarci per tempo.

Prima ha “bonificato” il terreno, attendendo senza troppe ansie la dipartita della neoforzista Francesca Peppucci, oramai fuori da tutto (regione, europa, cariche di partito), poi silurando a modo suo la Collega Mele; da ultimo prendendo a schiaffi i dirigenti di Forza Italia.

Si, perché annunciare un “partito” degli amministratori locali a pochi mesi dalle regionali, in un contesto di forze di governo, non si era mai visto!

Il Sindaco di Todi, politico navigato, ha da tempo capito l’aria che tira ed ha giocando d’anticipo.

Ha preparato il campo in modo di non avere avversari, almeno a livello locale; ha atteso l’esito di Perugia che ha determinato il crollo (o almeno lo stallo) delle quotazioni di Romizi, quindi si è sostanzialmente autocandidato, fuori da ogni schema e contro tutti.

Io, se fossi un politico/amministratore locale di centro destra, comincerei a guardarmi alle spalle.

Noi? Bene, ma non avevo dubbi.

L’idea introdotta a Perugia con il manifesto “Un patto avanti: ampio, plurale, tuo” è la scelta giusta.

Una scelta di campo, quello del centro sinistra, all’interno del quale la componente civica ha il ruolo di far valere le idee e l’atteggiamento riformista, schieramenti legati al territorio ma con ideali chiari, forti e non negoziabili, ossia il perimetro costituzionale, l’uguaglianza sostanziale, lo sviluppo socialmente sostenibile, la legalità e la buona amministrazione, il metodo democratico.

Si sta aprendo una stagione di profondo cambiamento, nella quale i territori devono essere protagonisti, devono esprimere la loro forza, ma i loro rappresentanti, soprattutto civici, non devono lasciare adito a dubbi circa il loro posizionamento, il loro pensiero.

Il campo largo funziona se i confini ed i contenuti sono ben tracciati ed i protagonisti sono credibili.

 Fabio Catterini (Capogruppo Civici Per Todi)                                 

Al Centro Speranza di Fratta Todina va in scena “La bellezza che unisce”

L’iniziativa è in programma venerdì 21 dalle ore 19 presso il parco del Centro Speranza a Fratta Todina

Presenterà il giornalista e conduttore Tiberio Timperi. Sarà una serata di inclusione, moda e divertimento con partner Firenze Moda Fashion Store e Musica per i Borghi

Fratta Todina Una serata di inclusione, moda e divertimento con la partecipazione di Tiberio Timperi, giornalista e conduttore radiotelevisivo, che presenterà una sfilata di moda che vedrà protagonisti gli ospiti del Centro Speranza di Fratta Todina. L’iniziativa, intitolata “La bellezza che unisce”, è in programma venerdì 21 giugno dalle ore 19 presso il parco della struttura frattigiana. Partner dell’evento sono Firenze Moda Fashion Store e Musica per i Borghi.

Il programma della serata prevede dalle ore 19 l’apertura dello Street food al Parco con Mastro Focaio e Pizza House e dintorni; alle 21 la sfilata di moda dei ragazzi del Centro Speranza; alle 22 musica dal vivo con Musica per i Borghi. Per informazioni e per riservare il proprio posto alla sfilata è necessario contattare il numero 075 874 5511 o scrivendo a comunicazione@centrosperanza.it.

Anche questa iniziativa rientra tra gli eventi organizzati in occasione dei 40 anni del Centro Speranza di Fratta Todina, compleanno che festeggerà il prossimo 17 settembre e che sarà preceduto da una serie di eventi che si terranno fino a fine anno e che saranno organizzati insieme a Madre Speranza Odv, l’associazione che dal 2000 sostiene il Centro attraverso la raccolta fondi e l’organizzazione di iniziative per l’inclusione delle persone con disabilità.

“Ringrazio di cuore Tiberio Timperi che ha accettato di tenerci compagnia per la serata. La sua presenza dà lustro alla nostra iniziativa, a cui teniamo molto. In occasione dei 40 anni di attività stiamo organizzando una serie di eventi tra cui la famosa Camminata della Speranza, che si terrà a settembre, e poi concerti, cene, convegni ed altri spettacoli teatrali. Sarà un anno pieno di iniziative che aiuteranno i genitori, i volontari e chi ci segue a crescere nella dimensione della conoscenza e della competenza verso la disabilità”, afferma Giuseppe Antonucci, presidente dell’Associazione Madre Speranza Odv.

Nel frattempo prosegue la campagna del 5×1000: un sostegno che contribuirà a garantire terapie riabilitative, attività educative e opportunità di inclusione sociale ai bambini e ai ragazzi del Centro Speranza. Il codice fiscale del beneficiario è: 94088450542.

Il Centro Speranza è una struttura sanitaria accreditata per l’erogazione di prestazioni riabilitative, socio-riabilitative ed educative rivolte  a persone con disabilità in convenzione con le Usl dell’Umbria e in regime privato. La struttura opera dal 1984 gestita dalla Congregazione delle Suore Ancelle dell’Amore Misericordioso che vuole offrire al territorio un servizio riabilitativo, socioriabilitativo ed educativo specializzato, basato su evidenze scientifiche ed esperienza clinica, all’avanguardia per competenza e umanità dell’équipe. Il principio ispiratore del servizio erogato dal Centro Speranza è il concetto di “valore primario della persona umana”, il rispetto della sua integrità e dignità e del suo progetto di vita. Operano in équipe per favorire il benessere psico-fisico della persona con disabilità accolta, la serenità della sua famiglia, la sua inclusione scolastica e sociale.

Ad InCanto d’Estate arrivano gli Heroes & Monsters

Il concerto è in programma a San Venanzo il 12 luglio alle ore 21,30

Si tratta dell’unica data umbra, ad ingresso libero, di tre artisti di fama internazionale: Stef Burns, Todd Kerns e Will Hunt

San Venanzo (Terni), 19 giugno 2024 – Un altro grande concerto è quello in programma venerdì 12 luglio (ore 21,30) per la 16esima edizione di “InCanto d’Estate, Festival di Musica d’Autore”, la manifestazione, organizzata dalla Pro Loco di San Venanzo sotto la direzione artistica di Filippo Pambianco, in programma presso il parco di Villa Faina a San Venanzo dal 10 al 14 luglio 2024. Tre mostri sacri del rock internazionale danno vita al nuovo incredibile trio “Heroes & Monsters”, formato da tre veterani del rock’n’roll e amici: il chitarrista Stef Burns (Y&T, Alice Cooper, Vasco Rossi, Stef Burnes League…), il bassista/cantante Todd Kerns (Slash & Myles Kennedy and the Conspirators, The Age of Electric, Bruce Kulick, Toque) e il batterista Will Hunt (Evanescence, Vasco Rossi, Vince Neil, Tommy Lee, Slaughter…).

Sarà un concerto imperdibile – unica data umbra – ad ingresso libero. Un vero e proprio regalo che la Pro Loco fa al suo pubblico. I curriculum dei musicisti parlano da soli. Il chitarrista Stef Burns ha una storia fantastica e variegata nel rock. Ha suonato con gruppi pop come Sheila E., Berlin e Huey Lewis & The News, oltre a band rock come i Y&T, con cui ha registrato quattro album, e Alice Cooper, suonando nei dischi Hey Stoopid e The Last Temptation. Attualmente Stef suona con Vasco Rossi e ha anche la sua band, la Stef Burns League.

Todd Kerns è un polistrumentista, cantante, compositore e produttore. È maggiormente noto per essere il bassista e corista in Slash featuring Myles Kennedy and the Conspirators e per essere il frontman della band canadese The Age of Electric, con dischi di platino. Negli ultimi anni, si è fatto notare come cantautore con esibizioni da sold out come solista, oltre a fronteggiare la band dell’ex chitarrista dei Kiss, Bruce Kulick, nonché la sua stessa superband canadese, Toque.

Il batterista Will Hunt attualmente risiede nel trono della batteria per gli Evanescence, con cui ha iniziato a suonare nel 2007, e ha suonato e scritto sui loro ultimi tre album in studio, tra cui l’ultimo, The Bitter Truth, che ha debuttato al n. 1 in 27 Paesi diversi nella classifica degli album. Nel corso degli anni, il batterista molto richiesto ha suonato con Dark New Day, Skrape, Staind, Vasco Rossi, Vince Neil, Tommy Lee, Slaughter e altri ancora. È apparso anche in album di Black Label Society, Michael Sweet (degli Stryper), Crossfade, Dirty Shirley (George Lynch), Device (David Draiman dei Disturbed) e altri ancora.

Gli altri concerti in programma nella 16esima edizione sono: “Disco d’Italia”, i più grandi successi dagli anni ’60 ad oggi suonati da una band di 10 elementi (mercoledì 10 luglio, ore 21,30); Ghemon con “Una cosetta così”(giovedì 11 luglio, ore 21,30, realizzato in collaborazione con l’Umbria Green Festival), Marco Morandi (sabato 13, ore 21,30); Tiromancino (domenica 14, alle 22). I biglietti per quest’ultimo concerto, l’unico che sarà a pagamento, sono acquistabili su TicketOne. Anche quest’anno InCanto d’Estate sarà dedicato alla musica ed al buon cibo. Ogni sera si terrà un concerto e sarà possibile degustare alcune specialità tipiche della cucina locale e umbra.