LO STATO REGIONALE ITALIANO E L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA DELLE REGIONI

Dott. Alfonso Gentili

Con riferimento al rapporto tra territorio e governo nel diritto pubblico sono configurabili tre diverse forme di Stato i cui elementi costitutivi sono appunto il territorio, il popolo e il governo. Si tratta della forma di Stato unitario che, pur rispettando le autonomie locali, conserva una forte centralizzazione delle funzioni, della forma di Stato federale composto dalla riunione di più Stati e della forma di Stato regionale intermedia fra le due precedenti e che consiste in uno Stato unitario che amplia la sfera delle autonomie locali (Comuni e Province) con la creazione delle Regioni, titolari di una propria potestà legislativa autonoma da quella statale e dotate di una consistente autonomia finanziaria. Con il referendum istituzionale del 2 e 3 giugno ’46, dopo la caduta il 25 luglio ’43 della ventennale dittatura fascista di B. Mussolini, venne decisa dal corpo elettorale la forma di Governo dell’Italia, tra le due più diffuse nell’era moderna quali la Monarchia e la Repubblica, con la scelta della Repubblica. Nelle stesse due giornate ebbero luogo anche le prime elezioni a suffragio universale, cui poterono partecipare anche le donne, per l’elezione di un’Assemblea costituente di ben 556 componenti con il compito di redigere la nuova Carta costituzionale. Per espletare tale compito l’Assemblea opportunamente creò la “Commissione dei settantacinque” con i migliori nomi del diritto e della politica italiana del tempo e presieduta M. Ruini ex deputato antifascista e distinto giurista. L’Assemblea costituente è stata presieduta prima da G. Saragat e poi da U. Terracini con Presidente del Consiglio dei ministri De Gasperi II- Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): DC-PSIUP-PCI-PRI quale primo Governo repubblicano e De Gasperi III-CLN: DC-PCI-PSI-PRI fino al giugno ’47. Capo provvisorio dello Stato eletto dall’Assemblea costituente è stato negli anni ’46-’47 E. De Nicola che ha promulgato la Costituzione nel dicembre ’47 e dal 1°gennaio ’48 è diventato il primo Presidente della Repubblica. I Padri costituenti per la Repubblica italiana fecero appunto la scelta della forma di Stato regionale che nasceva da uno Stato unitario come il Regno d’Italia (1861-1946). Alla nuova Repubblica parlamentare, scelta sempre dai costituenti escludendo le altre due tipologie di Repubblica presidenziale o direttoriale, venne data una diversa fisionomia, proprio per superare i profondi inconvenienti di uno Stato accentrato come la vecchia Monarchia, con la creazione di 19 Regioni (art. 131 Cost. originario), poi divenute 20 con il Molise (art. 1 della l.c. n. 3/’63).

La Costituzione italiana, secondo il testo originario pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 298 del 27 dicembre ’47 ed entrata in vigore il 1° gennaio ’48, nella Parte II (Ordinamento della Repubblica), Titolo V (Le Regioni, le Province, i Comuni) all’art. 114 prevedeva pertanto che “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” e all’art. 115 stabiliva che “Le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione”. Inoltre l’art. 116 prevedeva che “Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige (dal 2001 Trentino-Alto Adige/Sudtirol costituito dalle Province autonome di Trento e Bolzano), al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali”. Le leggi regionali emanate da tali Regioni autonome hanno pertanto una competenza esclusiva (che cioè esclude la legge statale) nelle materie tassativamente indicate dai loro Statuti speciali che prevalgono sulle stesse norme della Costituzione, salvo il rispetto dei principi fondamentali della stessa.

L’attuazione concreta della Costituzione repubblicana si è realizzata in un processo molto lungo che ha visto, dopo l’elezioni politiche dell’aprile ’48, una prima fase (’48-’55) in cui è rimasta largamente inattuata (Presidente della Repubblica L. Einaudi e Governi De Gasperi V-VIII, Pella, Fanfani I e Scelba di centrismo vario). Dopo il ’55 e durante i primi anni sessanta (Presidenti della Repubblica G. Gronchi e poi A. Segni) si è aperta una seconda fase che ha visto l’attivazione della Corte Costituzionale nell’aprile ’56, del CNEL nel gennaio ’57 e del CSM nel luglio ’59 (Governi Segni I e II di centrismo DC-PSDI-PRI e nel ’62-’63 Governo Fanfani IV di centrismo ma con l’astensione del PSI). In quegli anni infatti è stata avviata l’evoluzione del sistema politico italiano dal centrismo al centro-sinistra”organico” (DC-PSI-PSDI-PRI- Governi Moro I, II e III da fine ’63 al giugno ’68 e sono anche state emanate alcune leggi fondamentali come quella del dicembre ’62 sulla scuola dell’obbligo di almeno otto anni in attuazione dell’art. 34, comma secondo, Cost. e recante appunto l’istituzione della scuola media statale e quella sull’ammissione delle donne ai pubblici impieghi del febbraio ’63. Il processo di attuazione della Costituzione è arrivato alla fase più intensa nell’anno ’70 con l’istituzione delle Regioni a Statuto ordinario mediante la legge n. 281 del maggio ’70 (Presidente della Repubblica G. Saragat e Governo Rumor III di centro-sinistra”organico”) e con il regolamento d’attuazione approvato con DPR n. 8 del gennaio ’72 (Governo Colombo sempre di centro sinistra “organico”) per il trasferimento delle funzioni amministrative statali alle Regioni. Nello stesso anno ’70 hanno avuto luogo anche l’attivazione degli istituti di democrazia diretta mediante la legge n. 352 del maggio ’70 sui referendum previsti dalla Costituzione e sull’iniziativa legislativa del popolo nonché l’approvazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori di cui alla legge n. 300 del maggio ’70. Negli anni ’74-’76 (Governi Moro IV e V di centrismo con astensioni e appoggi esterni vari) il Presidente del Consiglio A. Moro si fece promotore anche di una strategia dell’attenzione verso il PCI attraverso il c.d. “compromesso storico”. Nel marzo ’78 venne però rapito dalle Brigate rosse e poi assassinato il 9 maggio (Governi Andreotti III e IV con l’astensione e l’appoggio esterno anche del PCI, guidato dall’allora segretario E. Berlinguer fautore del distacco dal PCUS, quali uniche partecipazioni al Governo, anche se indirette, di quel partito dall’entrata in vigore della Costituzione al suo scioglimento nel ’91).

Il percorso di attuazione della Costituzione repubblicana può essere quindi ritenuto concluso a metà degli anni settanta. Con l’avvio della VIII legislatura nel ’79 (Presidente della Repubblica S. Pertini e Governi Andreotti V e Cossiga I di centrismo) si è aperta una nuova fase non più per l’attuazione ma per la riforma del modello costituzionale considerato in alcune parti carente o superato a causa soprattutto dell’instabilità dei governi e dell’inefficienza dell’azione amministrativa. Nel corso degli anni ’80 e ’90 si è infatti assistito alla nascita di ben tre Commissioni parlamentari bicamerali per poter procedere ad una revisione organica dalla Carta costituzionale e vale a dire la Commissione Bozzi negli anni ’83-’85, la Commissione De Mita-Jotti negli anni ’92-’94 e infine la Commissione D’Alema negli anni ’97-98 senza però che nessuna di esse sia riuscita a portare a compimento il proprio progetto di riforma. Nel frattempo comunque a fine anni ’80 e inizio anni ’90 (X legislatura-Presidente della Repubblica Cossiga) sono state emanate alcune leggi ordinarie a notevole valenza costituzionale come quella sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 400 dell’agosto ’88 (Governo De Mita di pentapartito

DC-PSI-PSDI-PRI-PLI), quella sul riordinamento delle autonomie locali (Comuni e Province) n. 142 del giugno ’90 e quella sulla disciplina generale del procedimento amministrativo n. 241 dell’agosto ’90 (Governo Andreotti VI di pentapartito).

La svolta più importante verso la riforma costituzionale si è verificata dopo la vicenda di “tangentopoli” e l’inchiesta “mani pulite”, iniziata nel febbraio ’92 con l’arresto di M. Chiesa presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente di primo piano del PSI milanese (Governi Andreotti VII di quadripartito DC-PSI-PSDI-PLI), con la dissoluzione di alcuni importanti partiti storici e a seguito del referendum popolare dell’aprile ’93. L’esito di tale referendum ha portato al superamento del metodo elettorale proporzionale sul quale si era retto il sistema di alleanze e i Governi di coalizione della c.d. Prima Repubblica fino alla breve legislatura XI (Presidente della Repubblica O.L. Scalfaro, con Governo Amato I ’92-’93 di quadripartito e Governo Ciampi sostenuto dall’aprile ’93 al maggio ’94 da DC-PSI-PDS-PSDI-PRI-PLI-FdV). A favore del nuovo sistema elettorale parzialmente maggioritario si schierò la maggior parte dei partiti compreso il nuovo PDS, ex PCI sciolto nel febbraio ’91 con ultimo segretario dall’anno ’88 A. Occhetto, quale promotore della rottura finale con il comunismo dopo la caduta del muro di Berlino nell’anno ’89. Contro il sistema maggioritario si schierarono invece B. Craxi peraltro già dimessosi dalla segreteria del PSI, Rifondazione comunista, La Rete di L. Orlando e il MSI-DN del nuovo segretario G. Fini succeduto a G. Almirante dopo la sua morte nel maggio ’88. G. Fini è stato poi presidente del partito di AN di destra nazional-conservatrice fondato nel gennaio ’95 con la c.d. svolta di Fiuggi e lo scioglimento del MSI-DN. Dopo la riforma elettorale volta a dar seguito al referendum del ’93 e approvata con le leggi n. 276 e 277 dell’agosto ’93, c.d. legge Mattarella rimasta in vigore fino al ’05, ha preso avvio, a seguito delle elezioni politiche del marzo ’94, la nuova fase di riassetto del sistema politico con l’inizio della c.d. Seconda Repubblica (Governo Berlusconi I – Polo delle Libertà e del Buon Governo: FI-LN-MSI/AN- CCD-UdC peraltro di breve durata) nella direzione di un assetto bipolare delle forze in campo e di una maggiore personalizzazione dei poteri di direzione del Governo. Il nuovo assetto politico ha poi portato a riforme costituzionali incisive come quella del novembre ’99 n. 1, sull’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e sull’autonomia statutaria delle Regioni, del gennaio ’01 n. 2 sull’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a statuto speciale e soprattutto dell’ottobre ’01 n. 3 sul decentramento regionale e locale trasformando radicalmente anche l’assetto dei poteri locali.

Dopo le elezioni politiche dell’aprile ’96 che hanno visto la vittoria del centro-sinistra (L’Ulivo: PDS, poi dal 98 DS,-PPI -RI-UD-FdV-SI-SR-PS-FL-MCU e poi con qualche variazione) con i Governi Prodi I, D’Alema I e II e Amato II, nel marzo ’99 il Presidente del Consiglio dei Ministri (Governo D’Alema I) presentò al Parlamento, insieme al Ministro per le riforme istituzionali G. Amato, una nuova proposta di legge costituzionale formulata tenendo conto degli esiti dei lavori della Commissione Bicamerale D’Alema dei due anni precedenti e insieme ad essa la Camera esaminò altre 19 proposte di l.c. d’iniziativa parlamentare. Dopo l’esame nella 1^ Commissione concluso nel novembre ’99 la Camera dei Deputati arrivò all’approvazione della l.c. nel settembre ’00 (Presidente della Repubblica C.A.Ciampi e Governo Amato II ) e poi il Senato della Repubblica lo approvò nel novembre ’00. La proposta di l.c. tornò per la seconda lettura alla Camera che l’approvò a fine febbraio ’01 e, ritrasmessa al Senato, dopo un esame veloce in Commissione, fu

approvato definitivamente dall’Aula nel marzo ’01 (ancora Governo Amato II). Il testo di questa l.c. venne pubblicato sulla G.U. ai fini di cui all’art. 138, comma secondo, Cost. (referendum confermativo) e subito furono depositate nella cancelleria della Corte di Cassazione due richieste di referendum popolare sottoscritte la prima da 102 senatori dell’opposizione e la seconda da 77 senatori della maggioranza. L’Ufficio centrale per il referendum lo dichiarò ammissibile sempre nel marzo ’01 e il referendum popolare confermativo della l.c. venne indetto, dopo l’elezioni politiche del maggio ’01, con D.P.R. dell’agosto ’01 (Presidente della Repubblica C.A.Ciampi e Governo Berlusconi II- Casa delle Libertà- FI-AN-LN-UDC-NPSI-PRI) per il 7 ottobre ’01. Oltre il 64 per cento dei votanti si espresse a favore della l.c. anche se votò solo il 34,4% del corpo elettorale, ma per la validità dei referendum sulle leggi di revisione della Costituzione e sulle altre l. c. non è richiesto il quorum, invece prescritto dall’art. 75 Cost. per i referendum sulle leggi ordinarie.

La legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre ’01, recante modifiche al titolo V (Le Regioni, le Provincie, i Comuni) della parte II (Ordinamento della Repubblica) della Costituzione, ha introdotto molteplici innovazioni come la sostituzione dell’art. 114 che al comma primo ora recita: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” e quella dell’art. 116 che ora al comma terzo, sulla base del principio fondamentale del riconoscimento e promozione delle autonomie locali e del decentramento amministrativo di cui all’art. 5 Cost., si occupa anche del c.d. “livellamento” tra le preesistenti autonomie particolari delle 5 regioni a statuto speciale e le autonomie delle 15 regioni a statuto ordinario. A tal fine il nuovo terzo comma dell’art. 116 Cost. ha disciplinato la possibilità di attribuire, a determinati limiti e condizioni, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia anche alle Regioni a statuto ordinario ma con legge dello Stato (e non con legge costituzionale come per le 5 regioni a statuto speciale), su iniziativa della Regione interessata, dopo aver sentito gli enti locali e nel rispetto dei principi di cui al nuovo art. 119 Cost. in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali (il c.d. federalismo fiscale). Tali forme e condizioni particolari di autonomia per le 15 regioni a statuto ordinario devono riguardare le numerose materie indicate nel nuovo terzo comma dell’art. 117 Cost. di legislazione concorrente tra Stato e Regioni per la quale la potestà legislativa spetta alle Regioni mentre allo Stato spetta solo la determinazione dei principi fondamentali. Tale autonomia particolare può riguardare anche le materie indicate dal nuovo secondo comma dello stesso art. 117 di legislazione esclusiva dello Stato alla lett. l) limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace e alle lettere n) e s) e cioè le materie dell’istruzione e della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. La legge statale di attribuzione di tali forme e condizioni particolari di autonomia deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti e sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata. La riforma del titolo V ha voluto così introdurre una sorta di specializzazione delle Regioni a statuto ordinario a forme e condizioni particolari di autonomia attraverso una legge atipica del Parlamento approvata con procedura negoziata e rinforzata in quanto da adottare con procedimento aggravato essendo appunto prescritta per l’approvazione la maggioranza assoluta dei componenti delle Camere. Il nuovo art. 117 Cost. al comma quarto ha anche operato una inversione del criterio di riparto delle competenze statuendo che alle Regioni sono attribuite tutte le competenze legislative non esplicitamente riservate allo Stato, mentre nel testo originario erano le competenze regionali ad essere elencate specificamente e tutte le altre spettavano allo Stato centrale.

Parte seconda

Il procedimento previsto dal vigente art. 116, comma terzo, della Costituzione per l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario come introdotto dalla riforma costituzionale dell’ottobre ’01 non ha ancora trovato completa attuazione per nessuna Regione italiana. La stessa definizione di autonomia differenziata nel campo della potestà legislativa di cui al nuovo art. 117 Cost. appare anche inappropriata in quanto il principio di differenziazione è invece espressamente previsto nel nuovo art. 118, comma primo, Cost. insieme a quelli di sussidiarietà (verticale) e adeguatezza ma per l’attribuzione delle funzioni amministrative ai diversi livelli istituzionali e per poterne assicurare l’esercizio unitario. Nella XIV legislatura (’01-’06-Governi Berlusconi II e III- Casa delle Libertà: FI-AN-LN-UDC-NPSI-PRI) il tema della riforma costituzionale è stato impostato nell’ottica del centro-destra, vincitore delle elezioni del maggio ’01, sotto la spinta della Lega Nord di U. Bossi segretario fino al ’12 e poi Presidente a vita del partito. La Lega Nord allora spingeva per allargare le competenze regionali mediante la c.d. “devolution” ovvero la competenza esclusiva delle Regioni in materia di sanità, ordinamento scolastico e polizia locale nella prospettiva di un impianto di tipo federalista. La c.d.”grande riforma”costituzionale del centro-destra che prevedeva anche il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri verso il c.d. “premierato forte” è stata però sonoramente bocciata nel referendum confermativo (art. 138 Cost.) del giugno ’06 con una forte prevalenza dei “no” pari ad oltre il 61%. Nel frattempo era stato nuovamente riformato il sistema elettorale con la legge n. 270 del dicembre ’05 (c.d. legge Calderoli, definita anche “Porcellum”) che aveva introdotto un sistema proporzionale integrato con soglie di sbarramento e premi di maggioranza.

Con l’elezioni politiche del maggio ’06 la XV legislatura ha visto il ritorno della maggioranza di centro-sinistra ma solo per una durata biennale (Governo Prodi II- L’Unione- DS-DL la Margherita-PD- PRC-RnP-PdCI-IdV-FdV-UDEUR-ISI-DCU-LpA-AL-SD-LD-MRE). Hanno fatto seguito l’elezioni politiche anticipate dell’aprile ’08 che hanno visto una consistente superiorità numerica del centro-destra e, con l’inizio della XVI legislatura, anche l’affermazione della semplificazione del sistema politico verso un assetto bipolare. Tale assetto politico era incentrato da una parte sull’unificazione delle forze del centro-destra nel partito Il Popolo della Libertà (PdL) e dall’altra sull’avvenuta fusione tra i Democratici di Sinistra (DS dal ’98), la Margherita e altri minori nel Partito Democratico (PD) fondato nell’ottobre ’07 con Segretario nazionale W. Veltroni scelto mediante elezioni primarie e che alla prima tornata elettorale dell’aprile ’08 ha ottenuto oltre il 33% dei voti. Ma con la crisi economica nel mondo occidentale e anche nel nostro paese per l’elevato debito pubblico nel novembre ’11 il Governo Berlusconi IV di centro-destra (PdL-LN-MpA-CN-PT-FdS-DC) entrò in crisi e fu sostituito dal Governo Monti (Governo tecnico con l’appoggio esterno di PdL-PD-UDC-PSI-PRI-PLI- FLI e altri) fortemente voluto dal Presidente della Repubblica G. Napolitano. Il Governo Monti sul piano costituzionale è riuscito a far approvare la l.c. n. 1 dell’aprile ’12 recante tra l’altro la sostituzione dell’art. 81 Cost. sull’equilibrio di bilancio in attuazione dell’accordo intergovernativo in sede europea c.d. “Fiscal Compact” per correggere i disavanzi eccessivi della finanza pubblica. Quel Governo tecnico si è anche avventurato nel campo

istituzionale facendo rafforzare l’ipotesi di riforma del sistema bicamerale con la proposta di riduzione del numero dei parlamentari e anche di una riforma dell’ordinamento delle autonomie locali che prevedeva inopinatamente la soppressione delle Province. Tali storici enti locali avevano preso avvio, nella loro accezione moderna, su tutto il territorio nazionale come la principale suddivisione del Regno d’Italia proclamato con la legge n. 4761 del marzo 1861 (Governo Cavour III) a seguito dell’avvenuto raggiungimento dell’Unità d’Italia con l’annessione al Regno di Sardegna o sabaudo degli Stati preunitari durante tutto il Risorgimento. L’ordinamento delle Province italiane era stato infatti organicamente disciplinato dalla Legge comunale e provinciale contenuta nell’Allegato A della legge n. 2248 del 20 marzo 1865 recante l’unificazione amministrativa del Regno e che all’art. 1 disponeva “Il Regno si divide in provincie, circondari, mandamenti e comuni” e al titolo terzo conteneva la disciplina dell’amministrazione provinciale.

Con l’elezioni politiche del febbraio ’13 sono apparsi evidenti i limiti della legge elettorale n. 270 del dicembre ’05 che, nonostante il sistema maggioritario, non ha reso possibile una maggioranza omogenea nelle due Camere. La XVII legislatura è iniziata con il rinnovo, per la prima volta nella storia della Repubblica, del mandato al Presidente G. Napolitano il quale ha favorito la nascita di un Governo di “larghe intese” tra i partiti di centro destra e quelli di centro-sinistra (Governo Letta- di grande coalizione: PD-PdL/NCD-SC-UdC-PpL-RI) e ha riaperto il tema delle riforme costituzionali affidando ad una Commissione di esperti la stesura di una prima bozza di riforma. La bozza è stata poi approfondita in sede parlamentare nel giugno ’13 con l’approvazione di una mozione che invitava il nuovo Governo ad attivare un percorso per procedere ad una revisione del sistema bicamerale, della forma di Stato, della forma di Governo e della legge elettorale con una procedura speciale. Intanto con la legge di stabilità dell’anno ’14 (la n. 147 del dicembre ’13, art. 1, comma 571) il Parlamento ha anche approvato alcune disposizioni attuative relative alla fase iniziale del procedimento per il riconoscimento di maggiore autonomia alle Regioni a statuto ordinario. In particolare la norma ha previsto un termine di 60 giorni dal ricevimento entro il quale il Governo è tenuto ad attivarsi sulle iniziative delle Regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai sensi dell’art. 116, comma terzo, Cost. e ai fini dell’intesa tra la Regione interessata e lo Stato per arrivare alla legge rinforzata da approvarsi dalle Camere a maggioranza assoluta. Il Governo Letta ha anche presentato alle Camere un progetto di legge costituzionale per l’istituzione di un Comitato bicamerale di 42 membri che avrebbe dovuto redigere uno o più progetti da portare in Assemblea con un iter analogo a quello dell’art. 138 Cost. ma da sottoporre a referendum popolare anche se approvato in seconda lettura con la maggioranza dei due terzi. Tale proposta di l. c. è stata poi abbandonata con le dimissioni da Capo del Governo di Letta nel febbraio ’14 a seguito di un voto di sfiducia nei suoi confronti della Direzione nazionale del PD su una mozione del nuovo Segretario nazionale del partito M. Renzi eletto nelle primarie del dicembre ’13.

Il Governo Renzi (PD-NCD-UdC-SC-PSI-DEMOS-CD di centro-sinistra) tra le altre riforme ha anche operato sul piano istituzionale con la riforma elettorale per la sola Camera dei deputati di cui alla legge n. 52 del maggio ’15 (nota come “Italicum”) poi però dichiarata parzialmente illegittima in aspetti caratterizzanti, come il ricorso al ballottaggio, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 35 del febbraio ’17 e successivamente sostituita dalla legge n. 165 del novembre ‘ 17 (c.d. legge

Rosato e nota anche come “Rosatellum”). Il Governo Renzi ha anche costruito un vasto progetto di riforma della Parte II della Costituzione volta a superare il bicameralismo paritario con la trasformazione del Senato in un organo rappresentativo delle autonomie locali, a modificare il procedimento legislativo, a rivedere in senso più centralista l’ordinamento regionale del nuovo titolo V, nonché ad abolire le Province e il CNEL. Tale riforma, approvata in via definitiva dal Parlamento nella prima metà dell’anno ’16, è stata però seccamente bocciata a larga maggioranza (con circa il 60% dei no) nel referendum popolare del dicembre ’16 con le dichiarate e coerenti dimissioni del Governo. Il successivo Governo Gentiloni (PD-NCD/AP-CpE-Demo.S-CD-PSI di centro-sinistra e con appoggi esterni vari), con nuovo Presidente della Repubblica S. Mattarella già dal febbraio ’15, ha sviluppato e completato le altre riforme impostate dal Governo Renzi e ha portato il Paese alla scadenza naturale della legislatura nell’anno ’18. A fine febbraio ’18 (ancora Governo Gentiloni fino a tutto il maggio ’18) sono stati firmati tre distinti accordi preliminari, c.d. pre-intese, con le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che avevano avviato il percorso per il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’art. 116, terzo comma, Cost. e che individuavano i principi generali, la metodologia e un primo elenco di materie per la definizione della prescritta intesa fra Stato e Regione interessata.

Con l’inizio nel marzo ’18 della XVIII legislatura e dopo una travagliata formazione dell’Esecutivo (Governo Conte I- di coalizione M5S-LSP-MAIE e c.d.”giallo-verde”) le tre Regioni con le quali erano state stipulate le pre-intese hanno manifestato nel luglio ’18 al nuovo Governo l’intenzione di voler ampliare le materie da trasferire. Nel frattempo anche altre Regioni a statuto ordinario che non avevano firmato pre-intese hanno espresso al Governo la volontà di iniziare il percorso per ottenere ulteriori forme di autonomia. Si tratta delle Regioni Campania, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria (Presidente Giunta regionale Marini II-PD-PSI- con deliberazioni di Giunta n. 372 dell’aprile ’18 e di Assemblea legislativa n. 249 del giugno ’18) che hanno fatto pervenire al nuovo Governo le rispettive richieste di avvio dei negoziati. Sono anche state riprese le trattative tra le prime tre Regioni e i Ministeri interessati in base alle materie, coordinati dall’allora Ministro per gli affari regionali e le autonomie E. Stefani. Nella seduta del CdM del 14 febbraio ’19 la Ministra Stefani ha illustrato i contenuti delle intese con le tre Regioni e il Consiglio ne ha preso atto e condiviso lo spirito. Le bozze delle intese sono state anche pubblicate sul sito del Dipartimento affari regionali della Presidenza del Consiglio nel testo concordato tra il Governo e ciascuna Regione limitatamente alla parte generale comune alle tre intese.

Nel corso dell’anno ’19 si è aperto un grande dibattito sulle richieste pervenute e sul percorso per la definizione delle intese. Le questioni hanno riguardato le modalità di coinvolgimento degli enti locali, il ruolo del Parlamento e la non emendabilità in sede parlamentare del disegno di legge rinforzato che contiene le intese nonché la definizione dell’ampiezza delle materie da attribuire. Altro argomento di discussione è stato se, dal punto di vista finanziario, il trasferimento delle competenze alle Regioni dovesse avvenire previa definizione dei costi standard e, nelle materie dove siano previsti, dei Livelli essenziali di prestazioni (LEP) oppure, anche precedentemente alla loro definizione, sulla base della spesa storica come ipotizzata dagli accordi preliminari del febbraio ’18. In proposito la definizione dei LEP è stata poi inserita tra le riforme previste del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) con scadenza marzo ’26.

Durante il successivo Governo Conte II (di coalizione M5S-PD-LeU-IV-MAIE e c.d. “giallo-rosso”) è però prevalso l’orientamento a far precedere la stipula delle intese dall’emanazione di una “legge-quadro” (o meglio denominata “legge cornice”) che avesse definito le modalità d’attuazione dell’art. 116, comma terzo, Cost. anche se tale legge non risulta prevista dalla norma costituzionale. La legge-quadro, a partire dal Documento di Economia e Finanza (DEF) ’20, è stata inserita tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio. In particolare tali questioni sono state richiamate dalle audizioni svolte dal Ministro Boccia per gli Affari regionali e le autonomie presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale nel novembre ’19 e presso quella degli Affari regionali nel settembre ’20.

Analogo orientamento sulla c.d. legge-quadro è stato poi assunto e confermato anche dal Governo Draghi (di unità nazionale LSP-M5S-AZ-FI-PD-IpF-IV-Art.1-+Eu-NcL-CD) in carica dal febbraio ’21 e con Presidente della Repubblica S. Mattarella al secondo mandato dal febbraio ’22. La Ministra Gelmini per gli affari regionali e autonomie ha poi esplicitato tale orientamento nelle medesime Commissioni competenti. La stessa Ministra ha anche reso nota l’avvenuta istituzione con d.m. del giugno ’21 di un’apposita Commissione di studio, supporto e consulenza in materia di autonomia differenziata. Nel corso di un question time svolto in una seduta della Commissione a fine giugno ’22 è emerso che la Commissione aveva già fornito agli uffici del Ministero analisi e spunti utili per una prima definizione del testo del disegno di legge-quadro ma, alla fine anticipata della XVIII legislatura per le dimissioni reiterate nel luglio ’22 dal Presidente del Consiglio Draghi, comunque il disegno di legge-quadro non risultava essere stato presentato al Parlamento. In parallelo, per approfondire le questioni relative all’attuazione del regionalismo differenziato, la Commissione parlamentare per le questioni regionali nel triennio ’19-’21 aveva anche svolto un’indagine conoscitiva con l’audizione di rappresentanti del Governo, degli Enti territoriali nonché di studiosi ed esperti in materia e nel luglio ’22 aveva approvato un documento conclusivo. Con riferimento agli aspetti dell’autonomia finanziaria la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale risultava aver già svolto un ciclo di audizioni.

Il Governo Meloni (di destra-centro- FdI-LSP-FI-NM-IaC-RI) in carica dall’ottobre ’22, a seguito dell’elezioni politiche del settembre ’22 e dell’inizio della XIX legislatura, già nel marzo ’23 e probabilmente anche in virtù degli avanzati lavori preparatori dei precedenti Governi già in possesso degli uffici ministeriali è stato in grado di presentare al Senato della Repubblica il disegno di legge d’iniziativa governativa S. 615, collegato alla legge di bilancio per gli anni ’23-’25 e recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi del vigente terzo comma dell’art. 116 Cost. . Tale d.d.l. era appunto volto a definire i principi generali per l’attribuzione alle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia e per la modifica e la revoca delle stesse, nonché per le procedure di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione. Nelle materie di legislazione concorrente elencate nel nuovo art. 117, comma terzo, la Costituzione attribuisce la potestà legislativa alle Regioni a statuto ordinario o cc. dd. di diritto comune nell’ambito dei principi fondamentali riservati invece alla legislazione statale. Il nuovo comma terzo dell’art. 117 Cost. rispetto all’originario comma primo dello stesso art. 117, ha il significato di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare nelle materie indicate e la competenza statale limitata alla determinazione

dei soli principi fondamentali della disciplina che sono desumibili non necessariamente da nuove leggi statali ma anche dalle leggi statali vigenti. In tal senso era stato anche disposto dalla legge n. 131 del giugno ’03 (Governo Berlusconi II- Casa delle Libertà) recante norme per l’adeguamento dell’ordinamento delle Regioni alla l. c. n. 3/’01 e che all’art. 1, comma 3, aveva sancito che “Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti.”. La riforma costituzionale del 2001 si era mossa nella logica dell’art. 5 della Costituzione il quale, inserito tra i principi fondamentali della stessa, afferma che la Repubblica italiana riconosce e promuove le autonomie locali e nei servizi dipendenti dallo Stato è tenuta ad attuare il più ampio decentramento amministrativo nonché ad adeguare i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento, fermo restando il fatto che la stessa Repubblica è una e indivisibile.

L’iter parlamentare del d.d.l. governativo è iniziato con l’esame in sede referente della Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica e dopo la trattazione degli emendamenti presentati e l’approvazione di alcuni di essi si è passati all’esame dell’Assemblea del Senato che, a seguito dell’approvazione di ulteriori emendamenti, ha approvato in prima lettura l’intero d.d.l. nella seduta di fine gennaio ’24. L’iter parlamentare è continuato alla Camera dei Deputati con l’esame del d.d.l. in sede referente presso la Commissione Affari costituzionali che ha concluso i lavori nella seduta di fine aprile ’24 e ha conferito ai relatori il mandato a riferire favorevolmente all’Assemblea nel testo identico a quello del Senato. La Camera ha poi approvato il testo di legge in via definitiva nella seduta di metà giugno ’24. Nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 28 giugno ’24 è stata quindi pubblicata la legge ordinaria n. 86 del 26 giugno ’24 che, nei suoi 11 articoli, reca appunto le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’ articolo 116, terzo comma, della Costituzione.”.

Li 5 febbraio 2025

Dott. Alfonso Gentili, già Segretario Generale della Provincia di Perugi