Editoriale Di Maurizio Ronconi
Giudicare il sistema sanitario regionale non tenendo conto della tempesta della pandemia che per oltre due anni ha sconvolto non solo la nostra vita e quella delle nostre famiglie ma anche l’organizzazione sanitaria costretta a rivedere modalità di lavoro, organizzative, disponibilità di personale, sarebbe ingeneroso e ingiusto oltre che scorretto.
Affrettato affondare il coltello nelle ferite del sistema sanitario regionale, su un modello che ancora esiste solo a parole e nelle rassicurazioni dell’Assessore e della Giunta, sui ritardi, le incertezze, gli squilibri territoriali che pure non sono ancora colmati, sui ritardi drammatici delle prestazioni.
Lasciamo perdere, per ora. Ci si tornerà a tempo debito. Per ora facciamo un pò di storia e tiriamo anche qualche conclusione.
Tra la fine del secolo scorso e i primi anni del 2000, la rete ospedaliera regionale è stata profondamente rinnovata. Inaugurati ospedali a Perugia, Città di Castello, Pantalla, Branca, Foligno, rinnovati e ampliati a Orvieto, Spoleto, Castiglion del Lago e dopo il terremoto, ristrutturato anche il presidio di Norcia. Contestualmente sono però anche stati chiusi o riconvertiti quelli vecchi di Città di Castello, Gubbio, Gualdo Tadino, Città della Pieve, il Policlinico di Perugia, Foligno, Montefalco, Todi, Marsciano, Trevi, Cascia, Amelia e, prossimamente anche quello di Narni. Una vera e propria rivoluzione, uno storico ammodernamento che, ci dicevano, avrebbe consentito di rispondere adeguatamente per l’oggi e anche per il futuro, alla domanda sanitaria di una regione pur piccola e popolata da meno di un milione di abitanti.
Una razionalizzazione e anche un ammodernamento che avrebbe dovuto rendere la risposta più pronta, razionale e più soddisfacente per i malati e i loro familiari.
Non da molto, da qualche anno, invece stiamo assistendo ad una rivoluzione , anzi, ad una controrivoluzione tesa a convincere della necessità urgente ed improcrastinabile di affiancare la sanità privata a quella pubblica.
Nessuno scandalo se questa scelta servisse davvero a migliorare la risposta complessiva, stabilire una sana concorrenza tesa ad elevare complessivamente il servizio sanitario. In definitiva ad offrire le migliori condizioni di cura ai cittadini dell’Umbria.
Invece quello che sta avvenendo è motivo di preoccupazione e di disagio. Non c’è nessuna concorrenza ma una deliberata e progressiva prevalenza del privato sul pubblico, una sostituzione della erogazione dei servizi sanitari dal pubblico al privato con l’utente obbligato sempre più spesso a mettere mano al portafoglio per ottenere prestazioni sanitarie.
Evidentemente la scelta dei politici della nostra regione è quella di comprimere il servizio pubblico a favore di quello privato al quale a piene mani vengono concesse convenzioni ovvero finanziamenti che, non essendo la torta infinita, contestualmente vengono sottratti al servizio pubblico.
Si diceva, una rete ospedaliera, quella Umbra, nuova o largamente rinnovata, con spazi sufficienti e tecnologie generalmente moderne che però per carenza di personale, ritardi negli investimenti, assurdi contratti con i medici ai quali da una parte vengono negate gratificazioni e dall’altra invece si permette indiscriminata e non controllata attività extraospedaliera che alla fine rappresenta un insostenibile conflitto di interessi a scapito del servizio pubblico.
Con una ciliegina sulla torta.
La appena progettata nuova clinica privata a Terni. Nessuna contrarietà, anzi attenzione verso una lodevole iniziativa imprenditoriale privata ma trattandosi di sanità e non, con tutto il rispetto, di un supermercato, sarebbe da capire se davvero in un ambito ristretto come la nostra regione, magari allargato anche ai territori viciniori, si rilevi davvero una esuberante domanda di prestazioni sanitarie specialistiche, se la rete ospedaliera pubblica non sia in grado di offrirle e, soprattutto è incomprensibile che una struttura privata vada proposta in tandem con il nuovo stadio subordinando la costruzione dell’uno alla concessione di adeguate convenzioni sanitarie per l’altra.
Sembra di essere su scherzi a parte: costruisco un nuovo impianto sportivo se la Regione, mi concede a priori la convenzione per una clinica privata.
Non sono questi i modi, la programmazione, gli strumenti per un intervento complesso come quello che si immagina per il comparto sanitario regionale. Al massimo invece assomiglia ad un mercanteggiamento sulla pelle, anzi sui portafogli, degli umbri.
Ma davvero c’è bisogno di altri posti letto, che quelli che ci sono non sono sufficienti, che la domanda sanitaria, soprattutto quella strumentale non può essere evasa in tempi ragionevoli dalle strutture pubbliche, che i fondi oggi destinati alle convenzioni con i privati non potrebbero essere destinati alle strutture pubbliche per renderle più adeguate alla domanda e , infine, perchè non immaginare che i privati possano davvero continuare ad operare nel settore sanitario rinunciando alle convenzioni con la Regione facendo così il privato – privato e non il pubblico camuffato da privato.
Continuo a pensare che la nostra Regione, l’Umbria, per dimensioni, per numero di abitanti e anche per conformazione geografica ed oggi perfino per le comunicazioni veloci che la tracciano, ha un reticolo di ospedali moderni e funzionali tale da poter offrire un servizio sanitario pubblico di eccellenza supportato, se si vorrà, da una iniziativa privata, ma veramente privata e non assistita perfino anche per progetti che esulano dalla sanità, altrettanto importante per mantenere i livelli di eccellenza.
Sembrerebbe una soluzione dettata dal buon senso ed anche da un pizzico di esperienza, con un avvertimento. In sanità non bisognerebbe lasciare spazio ad ideologismi o peggio a pulsioni politiche perchè si rischia di sconfinare in ambiti estranei alla gestione sanitaria e invece troppo affini alla politica politicante, una deriva inutile ai più e soprattutto dannosa per i cittadini.
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