Un argomento molto attuale con la guida attenta del dott. Alfonso Gentili
Nella Gazzetta ufficiale n. 240 del 12 ottobre 2019 è stato pubblicato il testo della legge costituzionale recante”Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvata dal Parlamento in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera e per questo preliminarmente pubblicata prima della sua promulgazione. La Costituzione della Repubblica italiana è una carta costituzionale c.d. rigida, in quanto caratterizzata dalla previsione di leggi costituzionali (oltre quelle ordinarie che, essendo di grado inferiore, non possono modificare la Costituzione) e di un procedimento speciale (c.d. procedura di aggravamento) per la revisione (cioè modifica) della Costituzione stessa e per l’emanazione di altre leggi costituzionali (Art. 138 Cost.). La procedura di aggravamento consiste sia nelle due successive deliberazioni delle Camere con intervallo non inferiore ai tre mesi (principio della doppia conforme) sia nella maggioranza speciale in sede di votazione finale della seconda deliberazione (maggioranza assoluta, pari alla metà più uno, dei componenti di ciascuna Camera oppure maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera che impedisce anche le eventuali richieste di referendum).
La disciplina di attuazione dei referendum previsti dalla Costituzione è stata poi emanata, in notevole ritardo, con legge 25 maggio 1970, n. 352 e s.m.i. (governo di centro sinistra “organico” Rumor III) che appunto reca “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo” e, nel Titolo I (artt. 1-26), contiene le norme di dettaglio del referendum preventivo previsto dall’art. 138 Cost. La legge costituzionale in questione, d’iniziativa dei senatori Quagliarello (FI-BP-UDC), Calderoli e Perilli (L-SP e M5S) e Patuanelli e Romeo (M5S e L-SP), è stata approvata in prima lettura dal Senato nel febbraio 2019 e dalla Camera nel maggio 2019 (governo Conte I, in carica dal 1° giugno 2018) e in seconda lettura dal Senato nel luglio 2019 a maggioranza assoluta dei suoi componenti (governo Conte I) e dalla Camera nell’ottobre 1919 a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti (governo Conte II, in carica dal 5 settembre 2019), per cui è comunque risultata sottoponibile al referendum preventivo, ove richiesto.
La legge di revisione costituzionale approvata, ma non promulgata, all’art. 1 (Numero dei deputati) modifica il secondo comma dell’art. 56 Cost. nel senso di ridurre il numero dei deputati da 630 a 400 (-36,51%)e quello dei deputati eletti nella circoscrizione Estero da 12 a 8 (- 33,33%). Modifica inoltre il quarto comma dello stesso articolo nel senso che la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni dovrà effettuarsi dividendo il numero degli abitanti della Repubblica per 392 (400 – 8)anziché per618. All’art. 2 (Numero dei senatori) la legge modifica il secondo comma dell’art. 57 Cost. nel senso di diminuire il numero dei senatori elettivi da 315 a 200 (-36,51%)e quello dei senatori eleggibili nella circoscrizione Estero da 6 a 4 (- 33,33%).Modifica inoltre il terzo comma dello stesso articolo nel senso che nessuna Regione “o Provincia autonoma” potrà avere meno di 3 senatori anziché 7 e riscrive il successivo comma relativo alla ripartizione dei seggi tra le Regioni aggiungendovi le parole”o le Province autonome” ed eliminando l’inciso “fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero” che invece continua ad essere presente nell’art. 56 relativo alla Camera dei deputati. All’art. 3 (Senatori a vita) la legge riformula il secondo comma dell’art. 59 Cost. precisando che il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica “non può in alcun caso essere superiore a cinque” (mentre finora cinque era il numero massimo che ciascun Presidente poteva nominare) e all’art. 4 (Decorrenza delle disposizioni) stabilisce che le modifiche agli articoli 56 e 57 Cost. si applicheranno a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva all’entrata in vigore della legge stessa e comunque non prima che siano decorsi 60 giorni dalla predetta entrata in vigore. Pertanto questa riforma costituzionale del “taglio” dei parlamentari, anche dopo l’eventuale promulgazione ed entrata in vigore per mancata richiesta del referendum popolare o per mancato accoglimento della stessa oppure per un esito positivo del referendum, non troverà applicazione nella legislatura in corso (la XVIII), iniziata nel marzo 2018.
Le leggi di revisione della Costituzione, ai sensi dell’art. 138 della stessa e della legge n. 352 del 1970, sono soggette a referendum popolare se, entro 3 mesi dalla loro speciale pubblicazione preliminare (e quindi nel caso in questione entro il 12 gennaio 2020), un quinto dei membri di una Camera o 500.000 elettori o 5 Consigli regionali ne abbiano fatto richiesta, da depositare presso la Cancelleria della Corte di Cassazione che costituisce un Ufficio centrale per il referendum, il quale si pronuncia sulla legittimità della richiesta di referendum entro 30 giorni dalla sua presentazione. Il referendum viene indetto con decreto del Presidente della Repubblica, dietro delibera del Consiglio dei Ministri, entro 60 giorni dalla ricezione dell’ordinanza della Cassazione che lo abbia ammesso. La data del referendum è fissata in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto. Se invece, entro il termine di tre mesi dalla pubblicazione preliminare, non viene avanzata richiesta di referendum il Presidente della Repubblica provvede, entro un mese da tale scadenza e salvo l’eventuale uso del suo potere di veto sospensivo di cui all’art. 74 Cost., alla promulgazione della leggeapprovata dal Parlamento (art. 5 l. 352/70) e il Guardasigilli a pubblicarla di nuovo in G.U. per l’entrata in vigore, ferma restando la decorrenza delle sue disposizioni stabilita nell’art. 4 della stessa. Sulla G.U. n. 257 del 2 novembre 2019 è stato pubblicato un annuncio di richiesta di referendum presentato presso la Cancelleria della Corte suprema di Cassazione in data 31 ottobre 2019 mediante dichiarazione resa da 10 cittadini italiani di voler promuovere la raccolta di almeno 500.000 firme di elettori prescritte per la richiesta di referendum di cui all’art. 138 Cost., dichiarando di eleggere domicilio presso lo studio legale dell’avv. Alessandro Coluzzi di Roma. Più di recente si è avuta notizia dalla stampa che pure oltre un quinto (pari a n. 64,2) dei membri del Senato della Repubblica, dove la legge non era stata approvata con i due terzi dei voti, su iniziativa di un comitato promotore istituito dalla fondazione L. Einaudi Onlus, composto dai senatori A. Cangini e N. Pagano (FI-UDC) nonché T. Nannicini (PD) e con il sostegno del partito Radicale, avrebbe firmato, anche se in modo un po’ rocambolesco, la richiesta di sottoporre la legge approvata a referendum popolare, che risulterebbe quindi depositata presso la Cassazione entro il termine prescritto.
Per la validità di tale referendum c.d approvativo, che appunto si inserisce nel procedimento di approvazione di una legge costituzionale, non è richiesto alcun quoziente di votanti, a differenza del referendum abrogativo di una legge ordinaria per il quale è richiesta la partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto (art. 75, quarto comma Cost.). La legge costituzionale non dovrà essere promulgata da partedel Presidente della Repubblica se non sarà stata approvata dalla maggioranza dei voti validi (escluse quindi le schede bianche e nulle) espressi nel referendum e in tal caso il Guardasigilli dovrà curare la pubblicazione del risultato del referendum nella G.U.. Se il referendum invece avrà avuto esito positivo, la legge dovrà essere promulgata entro un mese dalla proclamazione del risultato referendario (salvo sempre l’eventuale uso del potere di veto sospensivo di cui all’art. 74 Cost.) e pubblicata di nuovo nella G.U. per entrare in vigore, ferma restando la decorrenza delle sue disposizioni stabilita nel citato art. 4. La promulgazione di una legge è un atto di indirizzo politico costituzionale che spetta al Presidente della Repubblica (artt. 73, 74 e 87 Cost.) come potere proprio, in quanto la legge è invece espressione della maggioranza parlamentare; è l’atto che dà l’esecutorietà ad ogni legge approvata dai due rami del Parlamento, previo accertamento della regolarità formale del procedimento legislativo e che fa sorgere in tutti l’obbligo dell’osservanza della legge stessa (c.d. fase dell’integrazione dell’efficacia della legge).
Per il referendum approvativo di cui all’art. 138 Cost. non risulta essere prevista una disciplina specifica sugli effetti di un eventuale scioglimento anticipato delle Camere o di una di esse sull’iter procedimentale dello stesso, come invece espressamente stabilita dall’art. 34 della l. 352/70 (con la sospensione automatica del referendum già indetto e la successiva ripresa a decorrere dei termini del procedimento) per il diverso referendum abrogativo delle leggi ordinarie (già promulgate ed entrate in vigore) di cui all’art. 75 Cost.. E’ da ritenere pertanto che per il referendum preventivo sulle leggi di revisione costituzionale ex art. 138 Cost., in caso di scioglimento anticipato delle Camere (o anche di una sola di esse), tutto il lavoro non ultimato decada in modo irrimediabile, al pari degli altri atti legislativi incompiuti, in forza di una regola non scritta, ma implicita nel sistema, per la quale le nuove Camere costituiscono in ogni caso l’espressione di un indirizzo politico nuovo e non hanno alcuna continuità politica con quelle cessate, potendosi altrimenti trovare anche a dover riapprovare la legge in caso di esercizio del potere di veto sospensivo da parte del Capo dello Stato in fase di promulgazione (art. 74 Cost.). Questa regola implicita è stata solo parzialmente derogata dai regolamenti della Camera (art. 107) e del Senato (art. 81) i quali prevedono una sorta di salvataggio (il c.d. repêchage) dei disegni di legge approvati da una sola Camera o in Commissione che ad inizio legislatura possono essere ripresentati in testo identico e approvati con una procedura d’urgenza. I regolamenti stabiliscono anche la non decadenza, a fine legislatura e senza ripresentazione delle proposte, delle leggi d’iniziativa popolare già approvate dalla Camera o in Commissione.
Dei 21 referendum svolti in Italia dopo la legge attuativa del ’70 solo 3 hanno riguardato leggi di revisione della Costituzione, dei quali solo 1, quello del 7 ottobre 2001 relativo alla legge di riforma del Titolo V (Le regioni, le provincie, i comuni), Parte II, Cost. (governo Amato II -L’Ulivo con Maccanico e Franceschini alle riforme istituzionali), ha avuto esito positivo (64,21% di Sì). Al contrario sia in quello del 25 giugno 2006 relativo alla legge sulla devoluzione di poteri alle regioni, la riduzione dei parlamentari a 518 deputati e 252 senatori e altro (governo Berlusconi III con Calderoli alle riforme istituzionali) che in quello del 4 dicembre 2016 relativo alla legge sul superamento del bicameralismo paritario o perfetto, la trasformazione del Senato in organo rappresentativo delle istituzioni territoriali, l’eliminazione delle province dalla Costituzione e altro (governo Renzi con Boschi alle riforme costituzionali), hanno vinto i No (rispettivamente con il 61,29% e il 59,12%) bocciando entrambe le leggi approvate dai due rami del Parlamento.
In considerazione del fatto che il numero dei parlamentari di uno Stato in genere dipende dalle sue dimensioni, si può inoltre osservare che la Repubblica Federale di Germania, con circa 83 mln di abitanti, ha un Parlamento federale (Bundestag) di 631 deputati e un Consiglio federale (Bundesrat) di 69 delegati dei 16 Stati federati (Länder), che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, con circa 67 mln di abitanti, ha un Parlamento composto dalla Camera dei comuni o bassa (House of Commons) di 650 membri elettivi e dalla Camera dei lord oppure dei pari o alta (House of Lords) di membri nominati in numero non fisso e attualmente in 776 e che la Repubblica Francese, con circa 65 mln di abitanti, ha un Parlamento composto dall’Assemblée nationale di 577 membri eletti direttamente e dal Sénat di 346 membri eletti indirettamente. Il Regno di Spagna, con circa 46 mln di abitanti, ha un Parlamento (Cortes Generales) composto dal Congresso dei deputati (Congreso de los Diputatos) di 350 membri elettivi e dal Senato del Regno (Senado) attualmente di 266 membri elettivi in gran parte direttamente e in parte indirettamente e la Repubblica di Polonia , con circa 37 mln di abitanti, ha un Parlamento composto dalla Camera dei deputati di 460 membri elettivi e il Senato della Repubblica di 100 membri elettivi. La Repubblica Italiana, con circa 60 mln di abitanti, per effetto della riforma costituzionale in corso di perfezionamento verrebbe ad avere un Parlamento composto da una Camera dei deputati di 400 membri elettivi e da un Senato della Repubblica di 200 membri elettivi, cioè con meno deputati della Polonia che ha quasi la metà della popolazione dell’Italia e con un numero totale di parlamentari inferiore a quello della Spagna che ha una popolazione inferiore a quella dell’Italia di oltre il 20 per cento, con possibile scivolamento all’indietro dell’Italia tra gli Statidell’UE.
Queste comparazioni evidentemente non interessavano alle forze politiche populiste e euroscettiche che sono sembrate invece aver presentato la proposta di legge e fortemente voluto questo drastico “taglio” della rappresentanza parlamentare (anziché magari degli eventuali privilegi personali ingiustificati e costosi della c.d. “casta”) proprio al fine di sminuire il modello e il valore della democrazia rappresentativa per puntare piuttosto su un’utopica democrazia diretta, magari telematica, o peggio ancora sull’esaltazione del rapporto diretto tra il capo e le masse acclamanti nelle piazze che generalmente porta dritti verso regimi autoritari.
Negli Stati democratici moderni il principio democratico (art. 1 Cost.) si attua nella forma della democrazia rappresentativa, mediante la costituzione di organi rappresentativi, in primo luogo i Parlamenti, attraverso il suffragio universale delle cittadine e dei cittadini elettori e non nella forma di quel “governo del popolo” o quella “democrazia diretta” che nelle città della Grecia antica amministrava non solo la politica ma anche la giustizia (si fa rinvio al processo di Socrate di fronte all’Areopago in Atene). Quanto meno singolare appare poi la posizione di fastidio se non di contrarietà al ricorso ad uno degli istituti di democrazia diretta previsti in Costituzione, come il referendum popolare, su una riforma costituzionale approvata dai rappresentanti del popolo in Senato con una maggioranza non così piena da rendere superfluo un intervento diretto del corpo elettorale (art. 138 u.c. Cost.) e nonostante il pronosticato orientamento favorevole di molti elettori su un intervento di tale natura e particolarmente accattivante. Per quanto riguarda infine i paventati riflessi della richiesta e indizione del referendum sulla legislatura in corso, si osserva solo che nella forma di governo parlamentare, finché il governo medesimo gode della fiducia delle due Camere, oltre quella del Capo dello Stato che lo ha nominato, ha pieno titolo a governare il Paese e, allo stato, non si vedono neanche motivi idonei c.d.”tecnici” o “d’ingorgo istituzionale” e nemmeno motivi c.d. “funzionali” (impossibilità di regolare funzionamento) che possano giustificare un eventuale scioglimento anticipato delle Camere ai sensi dell’art. 88 della Costituzione repubblicana.
Li 15 gennaio 2020
Dott. Alfonso Gentili- ex Segretario generale della Provincia di Perugia.
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